— Direi che potremmo chiamarla la sua lingua.
Gaby cominciò a ridere; ma era una risata nervosa, che terminava con un colpo di tosse. — Dio, Calvin! Te ne stai lì sulla sua lingua e mi chiedi di entrargli nella bocca! Immagino che alla fine della… Come vogliamo chiamarla? Gola?… Alla fine della gola ci sarà qualcosa che non è esattamente uno stomaco ma assolve gli stessi compiti. E probabilmente tu avrai un’ottima spiegazione anche per i succhi gastrici che ci coleranno addosso.
— Gaby, te lo giuro, non c’è pericolo…
— No, grazie! — urlò Gaby. — Sarò anche la scema del villaggio, ma nessuno potrà mai dire che non ho abbastanza buon senso da stare lontana dalla bocca di quel mostro. Cristo! Lo sai cosa mi stai chiedendo? Sono già stata mangiata viva una volta, e non lascerò che succeda di nuovo!
Gaby adesso era paonazza, scossa da brividi, e continuava a urlare. Cirocco era d’accordo con lei, a livello emotivo; comunque mise un piede sulla lingua. Era calda e secca. Si girò, tese la mano.
— Dài, vieni. Io gli credo.
Gaby cessò di tremare e la guardò attonita.
— Vuoi lasciarmi qui? — le chiese.
— Ma no. Tu verrai con noi. Dobbiamo andare da Bill e Agosto. Dov’è finito tutto il tuo coraggio?
— Non molto lontano — sospirò Gaby. — Non sono una fifona. Solo che tu mi stai chiedendo di fare questo…
— Te lo sto chiedendo, sì. Guarda, l’unica maniera per vincere certe paure è affrontarle di petto. Su.
Gaby esitò un attimo, poi abbassò le spalle e si avviò come se andasse sul patibolo. — Lo faccio per te — disse — perché ti amo. Devo restare sempre con te, anche se significa morire.
Calvin guardò Gaby in modo strano, ma non disse nulla. Entrarono nella bocca e si trovarono in uno stretto tubo traslucido. Camminarono a lungo.
Al centro dell’animale c’era la navicella che avevano visto dall’esterno. Era fatta di un materiale spesso e chiaro, lunga un centinaio di metri e larga una trentina. Il fondo era ricoperto da pezzi di legno e foglie polverizzate. Con loro c’erano parecchi animali: alcuni sorrisoni, altre specie di dimensioni inferiori, e migliaia di bestioline più piccole di un toporagno. Come al solito, non prestarono loro la minima attenzione.
La visuale sull’esterno era perfetta. Si stavano già allontanando dal precipizio.
— Se questo non è lo stomaco di Finefischio, cos’è? — chiese Cirocco.
Calvin sembrava perplesso.
— Non ho mai detto che non fosse il suo stomaco. Sotto i piedi abbiamo il suo cibo.
Gaby gemette e cercò di scappare. Cirocco la fermò, la strinse, guardò Calvin.
— Non c’è pericolo — disse lui. — Riesce a digerire solo con l’aiuto di questi animaletti. Mangia i loro prodotti finali. I suoi succhi gastrici non sono più forti del tè.
— Hai sentito Gaby? — le sussurrò Cirocco in un orecchio. — Qui staremo proprio bene. Adesso calmati, tesoro.
— Ho… ho sentito. Non arrabbiarti con me. Sono spaventata.
— Lo so. — La portò verso la parete trasparente dello stomaco. — Stai qui, guarda fuori. Vedrai che ti sentirai meglio. — Gaby schiacciò mani e naso contro la navicella e continuò a sospirare per tutto il resto del viaggio. Cirocco tornò da Calvin. Le sembrava di camminare su un trampolino.
— Devi essere più delicato con lei. È ancora molto scossa per tutto quel tempo passato al buio. E tu? — Lo scrutò in faccia. — Non so ancora bene cosa abbia significato per te il tempo trascorso al buio.
— Sono a posto — rispose lui. — Però non voglio parlare della mia vita prima di questa rinascita. È un periodo chiuso.
— Buffo. Gaby mi ha detto più o meno le stesse cose. Per me è diverso.
Calvin si strinse nelle spalle, chiaramente disinteressato a quanto le altre potessero pensare.
— In ogni modo, ti sarei grata se volessi dirmi quello che sai. Come l’hai saputo sono affari tuoi, se non vuoi parlarne.
Calvin, rifletté un attimo, poi annuì.
— Non posso farti un corso accelerato del loro linguaggio. È basato sui toni e sui tempi, e anch’io riesco a parlarne solo una versione semplificata. Gli aerostati hanno varie dimensioni. Vanno da dieci metri a qualcosa in più di Finefischio. Viaggiano spesso a gruppi. Finefischio ha qualche compagno di viaggio più piccolo che non hai visto perché stavano tutti sul lato opposto. Adesso si vedono.
Le indicò la parete trasparente della navicella. Sei aerostati lunghi una ventina di metri li seguivano. Sembravano pesci enormi. Cirocco udì qualche strillo acuto.
— Sono amichevoli e molto intelligenti. Non hanno nemici naturali. Dal cibo traggono idrogeno e lo conservano sotto leggera pressione. Se vogliono alzarsi lasciano cadere un po’ dell’acqua che portano come zavorra, se vogliono scendere emettono idrogeno. Hanno una pelle molto robusta, però se si feriscono in genere muoiono. Non possiedono una grande autonomia di manovra, e impiegano un sacco di tempo per partire. Il fuoco è il loro nemico peggiore. Se non riescono a sfuggire alle fiamme, esplodono come bombe.
— E le bestie che ci sono qui? — chiese Cirocco. — Servono tutte per digerire il cibo?
— No. Usano quegli animaletti gialli, che mangiano solo il cibo che l’aerostato prepara per loro. Infatti a terra non se ne trova nemmeno uno. Gli altri sono come noi, semplici passeggeri autostoppisti.
— Non capisco. Come mai gli aerostati danno passaggi?
— Simbiosi, unita all’intelligenza di scegliere e fare quello che preferiscono. La razza degli aerostati collabora con altre razze, in particolare con quella dei titanidi. Si scambiano favori, cioè…
— I titanidi?
Calvin sorrise, incerto, allargò la mani. — È il termine che uso per tradurre uno dei suoi fischi. Non so bene come siano fatti, perché non riesco a seguire le descrizioni complesse. Dovrebbero avere sei zampe ed essere solo di sesso femminile. Le chiamo titanidi perché è così che i greci chiamavano le femmine dei Titani. Ho dato un nome anche ad altre cose, sai? Le regioni, i fiumi, le montagne. Mi sono servito dei nomi dei Titani.
— Come? Ah, già, ricordo. — L’hobby di Calvin era la mitologia. — E chi erano questi Titani?
— I figli e le figlie di Urano e Gea. Gea apparve dal Caos. Generò Urano, lo rese suo simile, e poi generarono assieme i Titani, sei maschi e sei femmine. Dato che qui ci sono sei zone di luce e sei zone di buio, ho usato i nomi dei Titani.
Calvin sorrise. — Ho dato i nomi un po’ a caso, sai. Prendi il mare ghiacciato, ad esempio. Mi è sembrato giusto chiamarlo Oceano. La terra che stiamo sorvolando ora è Iperione, e la zona notturna che abbiamo di fronte, quella con le montagne e il mare irregolare, è Rea. Se guardi Rea da Iperione, hai il nord a sinistra e il sud a destra. Non ho mai visto tutte le terre, però so che esistono; e le ho chiamate, procedendo in cerchio da Iperione, Crio, Febe, Teti, Tia, Meti, Dione, Giapeto, Crono e Mnemosime. Mnemosine si vede anche da qui, oltre Oceano. Sembra un deserto.
Cirocco si sforzò di ficcarsi in testa quei nomi. — Non li ricorderò mai tutti — disse infine.
— Gli unici che importano in questo momento sono Oceano, Iperione e Rea. Anzi, non ho usato tutti e dodici i nomi dei Titani. Temi era un Titano, e avrebbe creato confusione. Poi… — Un sorriso timido. — Ho dimenticato due nomi. Così ho usato Meti, che significa sapienza, e Dione.
A suo modo, era una terminologia sistematica. — E i fiumi? Ancora mitologia?
— Sì. Ho scelto i nove fiumi maggiori di Iperione, che ne ha moltissimi, come puoi vedere, e ho dato loro i nomi delle Muse. Laggiù a sud ci sono Urania, Calliope, Tersicore ed Euterpe. Polimnia si trova nella zona di confine fra giorno e notte e sfocia a Rea. A nord scorre Melpomene. Più vicini a noi sono Talia ed Erato, che credo formino un unico sistema idrico. E il torrente che avete seguito voi è un affluente di Clio, che è esattamente sotto di noi.
Cirocco guardò giù. Vide una striscia blu che correva in mezzo alla foresta verde, la seguì con gli occhi fino al precipizio che adesso avevano alle spalle, e boccheggiò. Il torrente spuntava dal precipizio, circa mezzo chilometro più in basso del punto in cui si erano fermate loro. Per una cinquantina di metri sembrava duro e solido come metallo, poi la corrente d’acqua si infrangeva. Quando arrivava a terra era una nebbiolina bianca di spuma.