Il Ringmaster si trovava a nord dell’equatore, per cui avevano davanti la parte superiore degli anelli che splendeva vividamente. Il Sole era un punto di luce brillante a un angolo minimo da Saturno, e si avvicinava sempre di più.
Nessuno disse niente quando il Sole formò l’eclissi. Videro l’ombra di Saturno cadere sulla parte di anelli più vicina a loro, tagliandoli come la lama di un rasoio.
Il tramonto durò quindici secondi. I colori erano profondi e cambiavano in fretta: dal rosso vivo al giallo al blu e al nero. Simili a quelli che si possono vedere da un aereo nella stratosfera.
Nel modulo ci fu un coro di sospiri. Il vetro si depolarizzò e tutti boccheggiarono di nuovo quando gli anelli tornarono a splendere sullo sfondo del blu scuro che circondava l’emisfero nord. Sulla superficie del pianeta apparvero striature grigie, illuminate dallo scintillio degli anelli: sulla superficie c’erano tempeste grandi quanto la Terra.
Quando si decise a distogliere lo sguardo, Cirocco fissò lo schermo alla sua sinistra. Per tutto quel tempo Gaby era rimasta nel modulo scientifico, senza degnare Saturno di un’occhiata.
— Non vuoi venire a goderti lo spettacolo? — le chiese Cirocco.
La vide scrollare la testa. Stava analizzando i numeri che scorrevano sullo schermo.
— Fossi matta. Rilievi come questi non potrò farne mai più.
Entrarono in una lunga orbita ellittica, col punto minimo a 200 chilometri al di sopra del raggio teorico di Temi. Si trattava di un’astrazione matematica perché l’orbita era inclinata di trenta gradi rispetto all’equatore di Temi, il che li metteva al di sopra del lato oscuro. Oltrepassarono il toroide, emersero sul lato chiaro. Temi, adesso, era sotto i loro occhi.
Non che ci fosse molto da vedere. Anche illuminato dal Sole, Temi era nero come lo spazio. Cirocco studiò l’enorme massa della ruota, le grandi vele ad assorbimento solare che raccoglievano le radiazioni luminose e le trasformavano in calore.
Il Ringmaster passò sopra l’interno della ruota. Divennero visibili i raggi e i riflettori solari. Sembravano bui quanto il resto di Temi, tranne quei momenti in cui riflettevano una stella molto brillante.
Il problema che ancora tormentava Cirocco era la mancanza di un’entrata. Dalla Terra li incitavano ad atterrare, e anche lei, per quanto impaurita, lo desiderava.
Doveva esistere una via d’attracco. Nessuno dubitava più che Temi fosse un corpo artificiale. Si discuteva solo se si trattasse di un veicolo interstellare o di un mondo artificiale, come O’Neil Uno. Le differenze stavano nel metodo di propulsione e nelle origini. Un’astronave doveva possedere un motore, che poteva trovarsi nel mozzo. Una colonia poteva essere stata costruita solo da qualcuno che si trovasse nelle vicinanze. Già da tempo si parlava di altre razze intelligenti nel sistema solare. Cirocco non credeva a quei discorsi, ma ormai le sue idee personali non importavano affatto. Nave o colonia, Temi era stato costruito da qualcuno e doveva esistere un punto d’accesso.
Il posto più naturale in cui cercarlo era il mozzo, ma le leggi della balistica la costringevano a stare lontana da questo il più possibile.
Il Ringmaster si inserì in un’orbita circolare, 400 chilometri al di sopra dell’equatore. Stavano viaggiando nella direzione dell’orbita, ma Temi ruotava più in fretta della loro velocità orbitale. Dalla finestra del modulo di comando si vedeva solo una superficie buia. A intervalli regolari uno dei pannelli solari passava sotto i loro occhi, simile all’aula di un mostruoso pipistrello.
Ormai si distingueva qualche particolare della superficie esterna. C’erano strutture lunghe e spigolose che convergevano nei pannelli solari; probabilmente coprivano tubi pieni di fluidi o di gas che dovevano essere riscaldati. Distribuiti a caso fra le tenebre si individuavano pochi crateri, alcuni dei quali profondi 400 metri. Attorno non c’erano detriti: sulla superficie di Temi non poteva resistere niente che non fosse ancorata
Cirocco chiuse il suo pannello di controllo. Alle sue spalle Bill, semiaddormentato, annuì dalla cuccetta. Erano due giorni che i due non lasciavano il modulo di comando.
Distrutta, Cirocco diede un’occhiata a Bill, si alzò e passò nello SCIMOD, come in trance. L’idea di un letto e di un cuscino sembrava quasi assurda.
— Rocky, c’è qualcosa di strano.
Cirocco si immobilizzò sul primo gradino della scaletta.
— Come hai detto? — La sua voce, resa acuta dalla stanchezza, fece alzare il capo a Gaby.
— Scusa, sono stanca anch’io. — Gaby spostò un comando e sullo schermo apparve un’immagine.
Era l’orlo esterno di Temi, sempre più vicino, notevolmente ingrossato da un rigonfiamento.
— Ma quello non c’era prima — disse Cirocco, cercando di vincere la stanchezza.
Sentì un suono vago, in lontananza. Per un attimo lei non riuscì a capire di cosa si trattasse, poi l’adrenalina annullò di colpo gli effetti dello stress: era l’allarme radar del modulo di comando.
— Capitano — disse la voce di Bill dall’altoparlante — ricevo dati strani. Noi non ci stiamo avvicinando a Temi, ma c’è qualcosa che si avvicina a noi.
— Arrivo. — Le sembrava di avere le mani di ghiaccio mentre s’afferrava a un pilone per tirarsi in piedi. Distrutta, tornò a guardare lo schermo. La protuberanza esplose. Sembrava un fiore che si schiudesse, e diventava sempre più grande.
— Adesso si vede bene — disse Gaby. — È ancora attaccato a Temi. Sembra un braccio molto lungo o un bocciolo. Penso…
— I meccanismi d’attracco! — urlò Cirocco. — Vogliono prenderci! Bill, accendi il motore, ferma il carosello, tienti pronto a muovere!
— Ma ci vorrà mezz’ora…
— Lo so. Muoviti!
Si precipitò al suo posto nel modulo di comando e afferrò il microfono.
— Emergenza. Allarme di depressurizzazione. Evacuare il carosello. Entriamo in accelerazione. Allacciare le cinture. — Premette il pulsante d’allarme e la sirena cominciò a ululare alle sue spalle.
— Anche tu, Bill. Forza, infilati la tuta.
Bill borbottò un’obiezione, poi schizzò via. Cirocco gli urlò: — Portami la mia tuta!
Adesso l’oggetto, che si avvicinava velocissimo, si vedeva dalla finestra. Cirocco non si era mai sentita così disperata. Riuscì a mettere in funzione in pochi secondi tutti i razzi laterali del Ringmaster, ma non bastò. L’astronave si mosse appena. Dopo di che, non le rimaneva che starsene seduta a seguire sul monitor le sequenze automatiche dei motori, e contare i secondi. Non ce l’avrebbero mai fatta. Quella cosa era enorme e veloce.
Arrivò Bill, già con la tuta, e lei si trasferì di scatto nel modulo per indossarla. Sulle cuccette di accelerazione, cinque figure anonime fissavano lo schermo. Cirocco infilò il casco e sentì il caos.
— Basta! — Il mormorio scomparve. — Voglio silenzio assoluto su questo canale, a meno che non sia io a chiedervi di parlare.
— Ma cosa sta succedendo, Comandante? — chiese Calvin.
— Ho detto di non parlare. Stiamo per essere raccolti da un’apparecchiatura automatica. Dev’essere l’attrezzatura per l’attracco che stavamo cercando.
— A me sembra che ci stia attaccando — mormorò Agosto.
— Devono averlo già fatto, in passato. Sapranno senz’altro come procedere. — Le sarebbe piaciuto crederci. Ma non servì a rinfrancare la sua credulità quando la nave cominciò a vibrare.
— Contatto — disse Bill. — Ci ha presi.
Cirocco tornò nel modulo di comando, ma non fece in tempo a vedere la cosa che li stava afferrando. La nave sussultò di nuovo, fra rumori atroci provenienti da poppa.
— Che aspetto aveva?
— Sembravano tentacoli di un polpo gigantesco, ma senza ventose. — Bill era scosso. — Ce n’erano a centinaia che ondeggiavano attorno a noi.
La nave emise un gemito ancora più forte. Altri allarmi cominciarono a suonare. Luci rosse lampeggiavano su tutti i comandi.