Il vecchio sorrise, espressione questa che lo stato dei suoi denti rendeva più repellente che altro. — Io rappresento la Posta Imperiale, milady. Faccio il giro a cavallo di queste colline, intorno a Vorkosigan Surleau, ogni dieci giorni. Da ormai diciott’anni. Ci sono giovani già cresciuti e sposati, qui, che mi hanno sempre conosciuto soltanto come il Postino Kly.

— Credevo che la posta fosse consegnata per via aerea.

— Vorrebbero farlo, quei signori della capitale. Ma per ora l’auto aerea del governo scarica all’ufficio postale, non in ogni fattoria. È gente senza riguardo, quella. — Sputò, disgustato, e si ficcò in bocca un’altra foglia-gomma. — Ma se il generale li tiene alla larga ancora un paio d’anni, loro e la loro cosiddetta efficienza, potrò finire i miei vent’anni di lavoro. E avrò la mia terza pensione ventennale. Io mi sono ritirato dal Servizio dopo quarant’anni, capisce? Diciott’anni fa, per l’appunto.

— A quale arma apparteneva, maggiore Klyuevi?

— Ranger Imperiali — dichiarò orgogliosamente lui. La sbirciò per vedere la sua reazione. Lei gli restituì uno sguardo interrogativo. — Io ero un tagliagole, mica un tecnico. È per questo che non sono andato più su di maggiore. Ho cominciato a quattordici anni, in queste montagne, a tagliare gole di cetagandani insieme al generale e a Ezar. Mai potuto andare a scuola, neanche dopo. Solo corsi di addestramento. E un bel giorno il Servizio ha deciso di fare a meno anche di me.

— Non del tutto, a quanto sembra — disse Cordelia, lasciando vagare lo sguardo sulla zona apparentemente disabitata intorno a loro.

— Già… — Il vecchio sospirò, ebbe una smorfia e si girò a guardare Gregor con aria pensierosa.

— Piotr le ha detto cos’è successo ieri pomeriggio?

— Sì. Io ero partito dal lago ieri l’altro mattina. Mi sono perso tutto il divertimento. Suppongo che la notizia ufficiale mi raggiungerà oggi verso mezzogiorno.

— C’è… qualcos’altro che dovrà raggiungerci, a quell’ora?

— Aspettiamo e vedremo — disse lui. La guardò ancora. — Bisogna che lei si liberi di quei vestiti, milady. Il nome «A. VORKOSIGAN» in grosse lettere nere sul taschino della blusa non la rende troppo anonima, sa?

Cordelia non ci aveva fatto caso. Si guardò addosso, accigliata.

— E la livrea del mio Lord risalta come una bandiera — aggiunse Kly, accennando indietro verso Bothari. — Ma coi vestiti adatti non attirerete l’attenzione. Vedrò cosa posso fare, fra poco.

Cordelia incurvò le spalle. L’addome le doleva per la tensione al solo pensiero di ciò che li aspettava. Fuggiaschi. E a quale prezzo per quelli che avrebbero dato loro rifugio? — Aiutandoci lei si sta mettendo in pericolo. È così?

Il vecchio inarcò un sopracciglio cespuglioso. — Più o meno. — Il suo tono non incoraggiava altri commenti dopo quella gaffe.

Cordelia capì che doveva mettere da parte la stanchezza e ragionare a mente fredda, se non voleva essere un rischio per tutti quelli che erano con lei. — Queste foglie-gomma, sono un po’ come il caffè?

— Oh, molto meglio del caffè, milady.

— Posso provarne qualcuna? — domandò a bassa voce, timidamente; poteva trattarsi di una richiesta troppo intima.

Le rughe del vecchio s’allargarono in un sogghigno. — Solo la gente di campagna come me mastica questa roba, milady. Una bella signora Vor, una Lady della capitale, non farebbe una gran figura se la trovassero morta con delle foglie-gomma fra i suoi denti bianchi come perle.

— Io non sono bella, non sono una Lady Vor e non vengo dalla capitale. E in questo momento commetterei un omicidio per un po’ di caffè. Mi faccia provare qualche foglia, maggiore.

Lui lasciò cadere le redini sul collo del cavallo, sbottonò la tasca anteriore della blusa scolorita e tirò fuori la borsetta di cuoio. Prese un pizzico di foglie fra tre dita non troppo pulite e si sporse di lato per consegnargliele.

Cordelia esaminò le pellicole spesse e scure sul palmo della mano. Non mettersi strani vegetali in bocca prima che siano stati controllati dal laboratorio. Se le gettò sulla lingua. La superficie delle foglie sembrava cosparsa di zucchero d’acero, ma appena la saliva ebbe portato via quella prima impressione dolciastra il sapore si rivelò gradevole, amarognolo, un po’ astringente. La patina che le era rimasta in bocca fin dal risveglio ne fu sciolta, comunque, e questo era un miglioramento. Raddrizzò le spalle e masticò con più energia.

Kly la scrutava, divertito. — Se non è una Vor e non è una signora della capitale, allora, che cos’è?

— Ero una cartografa delle distorsioni spaziali. Poi una comandante della Sorveglianza Astronomica Betana. Poi una soldatessa. Poi una prigioniera di guerra. Poi un’esiliata. Alla fine sono diventata una moglie, e una madre. Non so cosa sarò in futuro — aggiunse, spostando il bolo di foglie contro l’altra guancia. Non una vedova, spero.

— Madre? Ho sentito dire che lei era incinta, ma… non ha perduto il bambino, dopo l’attentato con la soltossina? — Kly le guardò l’addome, perplesso.

— Non proprio. Il bambino ha ancora una possibilità di battersi. Anche se sembra un po’ svantaggiato, visto che deve battersi contro tutto Barrayar. È… nato prematuramente. Con un’operazione chirurgica. — Cordelia decise di non spiegare la faccenda del simulatore uterino. — Adesso è all’Ospedale Militare Imperiale, a Vorbarr Sultana. E per quanto ne so, la città è ormai completamente in mano alle forze ribelli di Vordarian… — Ebbe un fremito. Quello di Vaagen era un laboratorio militare ad accesso vietato, ma non tale da destare l’interesse immediato di qualcuno. Miles era al sicuro, al sicuro, al sicuro, e una falla in questa convinzione le avrebbe innescato un attacco isterico… Aral, adesso. Soltanto Aral. E lui sapeva badare a se stesso, grazie al cielo. Altrimenti come sarebbe riuscito a sopravvivere a tutto ciò che aveva passato, eh? Eh? Non si poteva negare che la Sicurezza Imperiale fosse piena di spie e traditori, certo. Anche lì nei boschi loro dovevano guardare dietro ogni albero prima di fare un passo. E Illyan che fine aveva fatto? Inchiodato a Vorbarr Sultana? O Vordarian l’aveva già eliminato o chiuso in una cella? No… tagliato fuori, probabilmente. Con le mani legate, come Kareen, come Padma e Alys Vorpatril. Anche loro in corsa contro la morte…

— Nessuno se la prenderà coi ricoverati dell’ospedale — disse Kly, guardandola in faccia.

— Io… sì, giusto.

— Perché è venuta su Barrayar, una straniera come lei?

— Volevo avere un bambino. — Una risata senza allegria le crepitò in gola. — Lei ha dei figli, Postino Kly?

— Non che io sappia.

— Ha fatto bene.

— Oh… — Lui si strinse nelle spalle. — Non lo so. Da quando la mia vecchia è morta, ho troppo silenzio intorno. Alcuni che ho conosciuto hanno sofferto molto per i loro figli. Ezar. Anche Piotr. Io non so chi brucerà un’offerta sulla mia tomba. Qualche nipote, forse.

Cordelia guardò Gregor, che s’appoggiava indietro al sacco a pelo e ascoltava. Gregor aveva appiccato il fuoco alla grande pira funebre di offerte in onore di Ezar, la sua piccola mano guidata da quella di Aral.

La carrareccia serpeggiava in salita, e attraversarono zone brulle e tratti boscosi. Per quattro volte Kly li lasciò e prese per altre stradicciole, mentre Bothari, Cordelia e Gregor lo aspettavano al riparo degli alberi. La terza volta il vecchio fece ritorno con un fagotto: una vecchia gonna, un paio di calzoni e un po’ di biada per i cavalli stanchi. Cordelia, che aveva freddo, indossò la gonna sopra i suoi pantaloni della Sorveglianza Astronomica. Bothari cambiò i suoi vistosi calzoni marrone dalla banda argentata con quelli a cui un contadino aveva rinunciato per lui. Larghi, ma ridicolmente corti, gli davano l’aria di un corvaccio di bosco che nessuno avrebbe incontrato a cuor leggero in una zona isolata. L’uniforme di Bothari e la blusa nera di Cordelia furono arrotolate in una delle bisacce. In quanto a Gregor, Kly rimediò alla mancanza di una scarpa togliendogli anche l’altra; poi mimetizzò il suo abito azzurro da bambino di città sotto una vecchia camicia da uomo con le maniche arrotolate. Adesso avrebbero potuto passare per una famiglia di poveri campagnoli, pensò Cordelia, anche dalla faccia: in lei, almeno, l’espressione da derelitta non faceva una grinza.


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