Arrivarono alla sommità di Passo Amie e cominciarono a scendere sul versante opposto. Ogni tanto sulla strada c’era gente che aspettava il passaggio di Kly. Lui distribuiva messaggi verbali mandati a mente, mitragliandoli in stile telegrafico; consegnava lettere e pacchetti, dischi per computer, opuscoli pubblicitari, e moduli per il ritiro di pacchi più voluminosi in attesa all’ufficio postale. Per due volte si fermò a leggere lettere a contadini evidentemente analfabeti, e lo stesso fece per un vecchio cieco condotto per mano da una bambinetta. Stanca, preda dell’incertezza, Cordelia diventava più nervosa a ogni nuovo incontro. Quale di questi sconosciuti ci tradirà? Cos’avrà pensato quella donna che mi fissava così intensamente? Il cieco, almeno, non potrà descrivere il nostro aspetto…

Verso il tramonto, Kly tornò da una delle sue deviazioni fuori dal percorso, guardò la pista silenziosa che attraversava la boscaglia umida e dichiarò: — Questa zona è troppo affollata. — E la misura della tensione di Cordelia fu data dal fatto che si trovò d’accordo con lui.

Il vecchio la guardò in faccia, preoccupato. — Pensa di farcela per altre, diciamo, quattro ore, milady?

Qual è l’alternativa? Sederci nel fango e piangere finché verranno a catturarci? Puntellò le mani sul tronco su cui s’era appollaiata in attesa del ritorno della loro guida e si spinse in piedi. — Dipende da cosa c’è al termine di queste quattro ore.

— Casa mia. Di solito, quando arrivo qui al tramonto, mi fermo a dormire da mia nipote, che sta da queste parti. Per finire il mio giro avrei ancora otto o dieci ore di strada. Ma se tiriamo dritto in su possiamo essere a casa mia fra quattro ore. Domani mattina tornerò indietro di buon’ora e farò il resto delle consegne senza ritardi sull’orario che la gente si aspetta. Nessuno vedrà niente di insolito. Non ci saranno chiacchiere.

Cosa significa «dritto in su»? Ma Kly diceva bene: la loro sicurezza stava nel passare inosservati e senza alimentare la curiosità altrui. Prima sarebbero stati fuori vista, meglio era. — Mettiamoci in marcia, maggiore.

Ci vollero sei ore. Il cavallo di Bothari cedette molto prima di arrivare a destinazione, e lui dovette smontare e far riposare l’animale che scuoteva la testa e vacillava sulle gambe. Poi se lo tirò dietro a piedi. Anche Cordelia preferì camminare, per scaldarsi e tenersi sveglia. Gregor si addormentò e cadde dal cavallo, pianse che voleva sua madre, poi si addormentò di nuovo quando Kly lo spostò in arcioni davanti a sé per reggerlo meglio. L’ultima salita rubò a Cordelia tutto il fiato che aveva in corpo e le fece salire pericolosamente le pulsazioni, anche se andò avanti aggrappata con entrambe le mani al pomo della sella di Rose. I purosangue del Conte si muovevano come vecchiette artritiche, stentando a ogni passo, e soltanto l’istinto gregario li spingeva a star dietro al piccolo e robusto cavallo di Kly.

All’improvviso la salita si trasformò in una discesa piuttosto ripida, oltre una cresta, quando il sentiero cominciò a scendere in una vallata buia. La vegetazione era molto più rada, e fra un boschetto e l’altro c’erano vasti declivi erbosi. Cordelia poteva sentire intorno a sé grandi spazi montani, golfi d’oscurità su cui incombevano immense rocce, silenziose come l’eternità. Tre fiocchi di neve si sciolsero sul suo volto sollevato a scrutare il cielo senza stelle. Davanti a un assembramento di alberi spogli Kly si fermò. — Fine del viaggio, gente.

Cordelia prese in braccio Gregor, oltrepassò la soglia di una casupola e la luce di una torcia elettrica le fece strada nell’interno finché trovò un letto su cui deporlo. Il bambino mugolò nel sonno, mentre lei gli tirava una coperta addosso. Per qualche momento restò lì, stordita e vacillante, poi in un ultimo barlume di lucidità scalciò via le babbucce e si sdraiò accanto a lui. Aveva i piedi così freddi che non le sarebbe importato di farseli amputare. Mentre se li sfregava con le mani per scaldarli un po’, cominciò a scivolare nel sonno. Vagamente s’accorse che Kly e Bothari avevano acceso il fuoco nel caminetto. Povero Bothari: l’aveva aiutata ed era stato il suo attendente in senso più che militare. Toccava a lei preoccuparsi che ora avesse anch’egli un po’ di riposo, qualcosa da mangiare, un posto per sdraiarsi… e per dormire… dormire…

Cordelia riaprì gli occhi con un borbottio e s’accorse che a svegliarla era stato un movimento di Gregor. Il bambino s’era alzato a sedere accanto a lei e si sfregava gli occhi, disorientato. La luce filtrava dentro da due finestrelle sporche, di fronte alla porta. La casupola, o la baracca — le pareti erano fatte per metà di tronchi scortecciati a mano — era composta da una sola stanza. Nel caminetto di pietra, sotto una grata su cui erano deposti un tegamino e una pentola, ardeva un letto di braci rosse. Cordelia ricordò a se stessa che lì il legno era indice di povertà, non di ricchezza. Il giorno prima dovevano aver oltrepassato dieci milioni di alberi.

Mise i piedi fuori dal letto e l’acido lattico che saturava i suoi muscoli le strappò una smorfia di dolore. Si massaggiò i polpacci. Il letto era un telaio di rami con una rete di corda e due materassi sottili, quello inferiore imbottito di paglia e l’altro di piume. In quel nido rozzo ma comodo lei e Gregor avevano dormito al caldo. Nell’aria c’erano odore di polvere e di legna bruciata.

Sulla breve veranda di tavole fuori dalla porta risuonarono dei passi, e con un sussulto di spavento Cordelia prese Gregor fra le braccia. Non poteva fuggire, e la sbarra di ferro infilata fra le braci sarebbe stata una difesa ben misera contro uno storditore o un distruttore neuronico, ma poi capì che i passi erano quelli di Bothari. L’uomo entrò, seguito da una folata d’aria gelida, e richiuse subito la porta. La giacca scolorita che indossava doveva essere un regalo di Kly, a giudicare da quanto gli stava stretta e corta di maniche. Poteva facilmente passare per un rozzo montanaro, finché teneva la bocca chiusa per non rivelare il suo accento di città.

— Milady. Altezza Reale — li salutò, con un cenno del capo. Si chinò davanti al caminetto, guardò sotto il coperchio del tegamino, e controllò la temperatura della pentola passando una mano sul vapore che ne usciva. — Abbiamo fiocchi d’avena e sciroppo — disse. — Acqua calda, una specie di thè e frutta secca. Niente burro.

— Ci sono novità? — Cordelia si sfregò la faccia con una mano e poggiò i piedi al suolo, decidendo che avrebbe potuto trascinarsi in direzione di quel thè.

— Non molte. Il maggiore ha fatto riposare il cavallo e se n’è andato prima dell’alba, per rispettare il suo orario. Da allora non è successo niente.

— Tu hai dormito, almeno?

— Un paio d’ore, mi sembra.

Il thè fu lasciato ad attendere, perché Cordelia dovette scortare l’Imperatore fuori casa e giù per un breve pendio fino alla baracca del cesso. Gregor storse il naso e considerò nervosamente l’asse col foro nel centro. Tornati sotto la piccola veranda della baracca, Cordelia lo aiutò a lavarsi le mani e la faccia in una bacinella rugginosa colma d’acqua.

Il panorama che si godeva da quel pianoro — una volta che si fu lavata gli occhi e poté vederlo — era stupefacente. Fra colline verdi brune, e piccole valli punteggiate di fattorie, almeno metà del Distretto Vorkosigan sembrava stendersi più in basso. — Quello è il nostro lago? — domandò Cordelia indicando uno scintillio argenteo appena visibile in distanza fra due alture.

Bothari aguzzò lo sguardo. — Credo di sì.

Era lontano un bel pezzo di strada, rifletté lei, per averla fatta a piedi. Ma terribilmente vicino per un aereo… be’, almeno da lì potevano scorgere chiunque venisse a cercarli.

I fiocchi d’avena bollenti, serviti con lo sciroppo in un piatto sbreccato, erano deliziosi. Cordelia filtrò il thè di erbe e cercò di farne bere un po’ a Gregor, ma aveva un sapore astringente che al bambino non piacque. Bothari parve arrossire di vergogna quando non poté far comparire dall’aria latte e biscotti su richiesta dell’Imperatore. Cordelia risolse il problema aggiungendo sciroppo dolce al thè per renderlo accettabile.


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