— Oh, creature… Piccole bestie, troppo piccole perché sia possibile vederle. Potrei mostrartele soltanto con una lente speciale, come quella che è contenuta nella cassa laggiù. Queste creature vivono quasi dappertutto; sono sull'arma, nell'aria, e sulla pelle. Se entrano nel sangue, il corpo si oppone ad esse, e la battaglia è ciò che causa il gonfiore e tutto il resto. Così dicono i libri. Ma non è una cosa che mi riguardi come dottore.
— Perché le creature non mordono i Nati Lontano?
— Perché non amano i forestieri. — Wattock fece una smorfia per la sua piccola battuta di spirito. — Noi siamo stranieri, lo sai. Non possiamo neppure digerire il cibo di qui, se non prendiamo dosi regolari di certi enzimoidi. Abbiamo una struttura chimica che è leggerissimamente diversa dalla norma organica locale, e la cosa si mostra nel citoplasma… Tu non sai cos'è. Be', il significato è che siamo fatti di un materiale leggermente diverso da quello di voi eis.
— Per questo avete la pelle nera e noi chiara?
— No, questo non ha importanza. Si tratta di variazioni del tutto superficiali, il colore e la struttura dell'occhio e tutto il resto. No, la differenza è a un livello più profondo, ed è molto piccola… una singola molecola della catena ereditaria — Wattock disse con sollievo, accalorandosi per la propria lezione. — Non causa sostanziali divergenze dal Tipo Ominide Generale in voi eis; così hanno scritto i primi coloni, ed erano gente che sapeva. Ma significa che non possiamo incrociarci con voi; o digerire il cibo locale senza aiuto; o reagire ai vostri virus… Anche se, in realtà, questa faccenda dell'enzimoide è un po' un'esagerazione. Fa parte del tentativo di comportarci esattamente come si comportava la Prima Generazione. Pura superstizione, o qualcosa di simile. Ho visto gente rientrare da lunghe battute di caccia, o gli stessi superstiti di Atlantika, la scorsa Primavera, che non avevano preso una sola pillola di enzimoide, non se n'erano fatti nessuna iniezione, per due o tre fasi lunari, ma digerivano benissimo. La vita tende ad adattarsi, dopotutto. — Mentre diceva questo, Wattock fece una faccia molto strana, e fissò Rolery. Ella si senti colpevole, poiché non aveva idea di che cosa le avesse spiegato il vecchio dottore; nessuna delle parole chiave faceva parte della sua lingua. — La vita che cosa fa? — domandò timidamente.
— Si adatta. Reagisce. Cambia! Data una sufficiente pressione, e sufficienti generazioni, l'adattamento favorevole tende a divenire prevalente… La radiazione solare finirebbe con l'operare, a lungo andare, verso una sorta di norma biochimica locale… tutte le nascite non vitali e gli aborti allora sarebbero degli iperadattamenti o forse un risultato dell'incompatibilità fra la madre e un feto normalizzato… — Wattock smise di agitare le forbici e tornò a chinarsi sul suo lavoro, ma dopo un istante rialzò gli occhi e riprese a fissare nel vuoto in quel suo modo assorto, senza vedere, e mormorò: — Strano, strano, strano!… Questo implicherebbe, sai, che l'incrocio potrebbe avere luogo.
— Ti ascolto ancora — mormorò Rolery.
— Che uomini ed eis potrebbero avere figli insieme!
Questo Rolery lo capì, alla fine, ma non capì se il medico lo dicesse come un dato di fatto, o un augurio, o un timore. — Anziano, io sono troppo ottusa per ascoltarti — ella disse.
— Lo capisci abbastanza bene — disse una voce debole, accanto a loro: l'Alterra Dipilota, che era desto. — Così, pensi che infine siamo diventati una goccia d'acqua nel catino, Wattock? — Dipilota si era sollevato su un gomito. Gli occhi scuri scintillavano nella faccia sottile, febbricitante, bruna.
— Se tu e molti altri avete ferite davvero infette, allora il fatto deve pur trovare una qualche spiegazione.
— Accidenti all'adattamento, allora. Accidenti ai vostri incroci e alla vostra reciproca fertilità! — disse il malato, e fissò Rolery. — Finché il nostro seme è stato puro, siamo stati Uomini. Esuli, Alterra, umani. Fedeli alle conoscenze e alle Leggi dell'Uomo. Ma adesso, se possiamo incrociarci con gli eis, la nostra goccia di sangue umano si perderà prima che sia passato un altro Anno. Diluita, assottigliata fino a ridursi a nulla. Nessuno userà più questi strumenti, o leggerà questi libri. I nipoti di Jakob Agat siederanno in cerchio, picchiando due pietre tra loro e urlando, fino alla consumazione del tempo… Maledetti stupidi barbari, non potete lasciar stare gli uomini… lasciarci stare! — Tremava di febbre e di collera. Il vecchio Wattock, che aveva continuato a maneggiare uno dei suoi piccoli dardi cavi, riempiendolo, ora tese la mano nella sua maniera tranquilla, da dottore, e punse il povero Dipilota nel braccio. — Stenditi, Huru — disse, e con un'espressione perplessa sul volto il ferito obbedì. — Non me ne frega niente di morire delle vostre sudice infezioni — disse ancora, con voce che diveniva sempre più roca, — ma i vostri sudici mocciosi, teneteli lontano di qui, teneteli fuori… della Città…
— Questa lo terrà tranquillo per un po' — disse Wattock, e trasse un sospiro. Rimase a sedere in silenzio mentre Rolery continuava a preparare bende. Ella era abile e instancabile in quel tipo di lavori. Il vecchio dottore la osservò con faccia meditabonda.
Quando ella si rialzò perché la schiena cominciava a farle male, vide che anche il vecchio si era addormentato: uno scuro mucchietto di pelle e di ossa aggobbito nell'angolo dietro la tavola. Continuò a lavorare, chiedendosi se davvero avesse capito ciò che il vecchio dottore aveva detto, e se egli ne fosse certo: che ella poteva dare un figlio ad Agat.
Si era completamente dimenticata che Agat poteva benissimo essere già morto, per quanto ne poteva sapere lei. Continuò a sedere laggiù in mezzo al sonno dei feriti, sotto la città in rovina piena di morte, e meditò senza parole sulle possibilità di vita.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
Il primo giorno
Il freddo fece presa più duramente, quando cadde la notte. La neve che si era sciolta alla luce del sole divenne ghiaccio scivoloso. Nascosti sui tetti vicini o nei piani più alti, i Gaal lanciavano frecce dalla punta intinta nella pece, che descrivevano traiettorie rosse dorate, come uccelli di fuoco, attraverso l'aria gelida e scura. I tetti dei quattro edifici cinti d'assedio erano di rame, e le pareti erano di pietra; il fuoco non attecchì. L'attacco alle barricate terminò, non vennero più scagliate frecce dalla punta di ferro o di fuoco. Dall'alto della barricata, Jakob Agat vide le strade sempre più buie perdersi nella distanza, vuote, fra le case nere.
Dapprima gli uomini della Piazza si attesero un attacco notturno, poiché i Gaal erano chiaramente disperati; ma fece sempre più freddo, sempre più. Infine Agat ordinò che si tenesse soltanto il minimo di guardia, e lasciò che la maggior parte degli uomini andasse a farsi medicare le ferite, e a mangiare e riposare. Se erano esausti, altrettanto esausti dovevano essere i Gaal, ed essi erano almeno vestiti in modo adatto al freddo, mentre i Gaal non lo erano. Neppure la disperazione avrebbe potuto spingere gli uomini del nord ad affrontare quella terribile notte chiara, illuminata dalle stelle, nei loro stracci di feltro e pelo. Quindi i difensori si addormentarono, molti ai loro posti di guardia, raccolti nelle sale e accanto alle finestre degli edifici riscaldati. E gli assedianti, privi di cibo, si riunirono intorno ai falò, dentro alte stanze di pietra; e i loro morti rimasero a giacere, con le membra rigide, nella neve coperta da una crosta di ghiaccio, sotto le barricate.
Agat non voleva dormire. Non poteva entrare in uno degli edifici, abbandonando la Piazza dove per tutto il giorno avevano combattuto per salvarsi la vita, e che adesso giaceva così silenziosa sotto le costellazioni dell'Inverno. L'Albero; e la Freccia; e l'Orma di cinque stelle; e la Stella della Neve medesima, che ardeva fiera al di sopra dei tetti ad est: le stelle dell'Inverno. Bruciavano come cristalli nella profonda e fredda oscurità del cielo.