«Dammi il tuo flash, Martin. Vado avanti io.»
Sarebbe stato sciocco discutere. Hilton era il più alto, il più forte, il più agile. Senza protestare, Gibson gli tese la sua arma di fortuna.
Non è possibile provare una sensazione più inquietante di quella che dà il camminare lungo uno stretto sentiero, tra pareti erbose, sapendo che da un momento all’altro ci si può trovare a faccia a faccia con un essere totalmente sconosciuto e probabilmente ostile. Gibson cercò di farsi coraggio ricordando che gli animali che non hanno mai visto l’uomo di rado sono ostili… ma le eccezioni a tale regola erano purtroppo numerose.
Erano giunti quasi al centro della piccola foresta quando si trovarono di fronte a una biforcazione. Hilton scelse di andare a destra, ma dopo pochi metri si accorse che quel sentiero finiva in una radura larga una ventina di metri, dove tutte le piante erano state tagliate o mangiate, quasi rasoterra. In quel punto spuntavano soltanto tronconi di radice che però cominciavano già a mettere nuovi germogli. Era evidente che quella radura era stata abbandonata già da diverso tempo dagli esseri che se ne erano serviti.
«Sono erbivori» mormorò Gibson.
«E anche abbastanza intelligenti» soggiunse Hilton. «Come vedi hanno lasciato le radici in modo che le piante rispuntassero. Andiamo a vedere sull’altra biforcazione.»
Cinque minuti dopo trovarono la seconda radura. Era molto più vasta della prima, e non era deserta.
Hilton impugnò più saldamente il flash mentre Gibson sollevava la macchina fotografica con gesto istintivo e scattava le fotografie destinate a diventare le immagini più famose di Marte. Poi i tre uomini si calmarono e rimasero ad aspettare che i Marziani si accorgessero della loro presenza.
In quell’attimo furono spazzati via secoli di fantasia e di leggenda. Tutti i sogni dell’Uomo sull’esistenza di esseri non molto dissimili da lui svanirono, e con essi scomparvero senza lasciare rimpianti i mostri tentacolari di Wells e le schiere di orrori indescrivibili. Scomparve anche il mito delle intelligenze freddamente disumane che guardano con distacco il misero Homo Sapiens dall’alto della loro immensa saggezza, pronte a schiacciarlo con la stessa impersonale insensibilità con cui l’uomo è pronto a distruggere un insetto noioso.
Le creature raccolte nella radura erano dieci in tutto, ed erano troppo intente a mangiare per accorgersi degli intrusi che le stavano osservando. Ricordavano un po’ i canguri, e i loro corpi ovoidali si bilanciavano su due lunghi e sottili arti posteriori. Erano completamente privi di pelo, e la loro pelle aveva una curiosa lucentezza cerea che faceva pensare al cuoio. Due esili arti anteriori, che sembravano completamente senza ossa, spuntavano dalla parte superiore del corpo e terminavano in specie di zampe simili agli artigli di un uccello ma troppo piccole ed esili per essere di grande utilità pratica. La testa poggiava direttamente sul tronco, senza il minimo accenno di collo, e nella testa c’erano due grandi occhi di colore indefinibile con le pupille dilatate. Niente naso, ma solo una curiosa bocca triangolare munita di tre tozze protuberanze, specie di becchi, con cui le bizzarre creature divoravano il fogliame. Le orecchie grandissime, quasi trasparenti, pendevano inerti, vibrando solo di tanto in tanto e a volte chiudendosi a forma di tromba, dando la sensazione che anche in quell’atmosfera estremamente rarefatta servissero come efficacissimi rivelatori di suono.
Il più grosso di quegli animali era alto quasi come Hilton. Gli altri erano molto più piccoli. Il più piccolo di tutti, inferiore al metro, poteva benissimo essere definito un cucciolo. Saltellava freneticamente nel disperato tentativo di raggiungere le foglie più appetitose, e ogni tanto emetteva esili suoni flautati che facevano tenerezza.
«Fino a che punto credi che siano intelligenti?» mormorò Gibson.
«È difficile dirlo. Osserva però come hanno cura di non distruggere le piante che mangiano. Naturalmente può trattarsi di semplice istinto, simile a quello delle api che non si sbagliano mai nel costruire i loro alveari.»
«Si muovono molto lentamente, non ti pare? Chissà se sono animali a sangue caldo.»
«Non vedo perché dovrebbero avere sangue, sia caldo sia freddo. Il loro metabolismo deve essere tutto speciale e molto insolito per permettere loro di sopravvivere in un clima come questo.»
«Sarebbe quasi ora che si degnassero di notare la nostra presenza.»
«Il grosso l’ha notata. L’ho sorpreso a guardarci con la coda dell’occhio. E non vedi come seguita a puntare le orecchie dalla nostra parte?»
«Avviciniamoci.»
Hilton rifletté un istante.
«Non vedo come potrebbero farci del male anche se lo volessero» disse poi. «Quelle loro zampe mi sembrano molto deboli. Però ho l’impressione che i loro triplici becchi potrebbero lasciare il segno. Avanzeremo molto lentamente. Se ci caricano, io tarò scattare il flash mentre voi scapperete. Sono convinto che nella corsa siamo più veloci di loro. Non hanno certo le caratteristiche dei gran corridori.»
Muovendosi con una lentezza che nell’intenzione degli esploratori improvvisati voleva essere più rassicurante che furtiva, i tre avanzarono nella radura. Ormai non c’era più dubbio che i Marziani li avessero visti, perché subito una mezza dozzina di grandi occhi calmi li fissarono, ma per poco. Le creature marziane distolsero subito lo sguardo per posarlo nuovamente sulle foglie, dedicandosi all’operazione assai più importante di nutrirsi.
«Non mi sembrano affatto curiosi» disse Gibson deluso. «Siamo così poco interessanti?»
«Attenzione! Il piccolo ci ha individuati. Chissà che cos’ha intenzione di fare!»
Il piccolo Marziano aveva smesso di mangiare e fissava gli intrusi con un’espressione che avrebbe potuto significare molte cose: dalla più profonda incredulità alla golosa speranza di un nuovo pasto. Lanciò un paio di squittii acuti ai quali un adulto rispose con un calmo honk, quindi il cucciolo prese a saltellare verso gli spettatori incuriositi.
Si fermò a un paio di passi dagli uomini. Non era né intimorito né diffidente.
«Onoratissimo di fare la vostra conoscenza!» disse Hilton in tono solenne. «Permettete che ci presentiamo. Questo è Jim Spencer, quest’altro signore alla mia sinistra è Martin Gibson… Ma non ho capito bene il vostro nome.»
«Quiicc!» squittì il piccolo Marziano.
«Molto bene, signor Quiicc. Cosa possiamo tare per voi?»
La creatura tese una zampa e tirò Hilton per la manica. Poi saltellò verso Gibson che nel frattempo era stato indaffaratissimo a fotografare quello scambio di cortesie. Di nuovo sporse una zampa inquisitrice, e Gibson si affrettò a togliere di mezzo la macchina fotografica per evitare eventuali danni. Quindi gli tese la mano, e i piccoli artigli si chiusero sulle sue dita, con sorprendente energia.
«Socievole, eh, il piccolo?» disse Gibson dopo essersi liberato senza difficoltà dalla stretta della creatura. «Almeno non è borioso come i suoi genitori.»
Sino a quel momento infatti gli adulti non avevano degnato di un’occhiata quello scambio di convenevoli, ma avevano seguitato a brucare placidamente sull’altro lato della radura.
«Mi piacerebbe dargli qualcosa, ma non credo che riesca a mangiare il nostro cibo. Prestami il tuo temperino, Jimmy. Gli taglierò qualche foglia, tanto per vedere se siamo veramente amici oppure no.»
Il dono fu accettato gentilmente e prontamente mangiato, mentre le piccole mani subito si protendevano a chiederne ancora.
«A quanto pare hai fatto colpo, Martin» disse Hilton.
«Temo che sia amore interessato» sospirò Gibson. «Ehi, lascia in pace il mio apparecchio fotografico. Non è da mangiare, sai?»
«Un momento» disse a un tratto Hilton. «Sta succedendo qualcosa di strano. Di che colore è questo cucciolo, secondo te?»