«Marrone da una parte e… direi grigio sporco dall’altra.»

«Bene. Adesso giragli attorno e dagli da mangiare un po’ di foglie.»

Gibson obbedì, e Quiicc si girò sulle anche per afferrare il nuovo boccone. Mentre il Marziano si muoveva si verificò un curioso fenomeno.

La tinta bruna della parte anteriore del corpo sbiadì lentamente e a poco a poco la pelle diventò grigia mentre sul dorso accadeva il contrario, finché lo scambio non fu completo.

«Gran Giove!» esclamò Gibson. «È peggio di un camaleonte! Secondo te che cosa significa? Si tratta forse di una colorazione mimetica?»

«No, è un processo molto più astuto. Guarda gli altri che stanno laggiù. Osserva, non cambiano colore. Restano sempre bruni, o quasi neri, direi, nel lato rivolto al sole. È semplicemente un accorgimento per captare quanto maggior calore possibile ed evitarne la dispersione. Le piante marziane hanno lo stesso comportamento. Chi sarà stato il primo a pensarci? Questo trucco servirebbe poco a un animale che si muovesse in fretta, ma se hai fatto caso quei bestioni laggiù sono nella stessa posizione da oltre cinque minuti.»

Gibson si mise subito a fotografare questo strabiliante fenomeno. Cosa che non gli riuscì difficile, perché ogni volta che si muoveva, Quiicc si girava tutto speranzoso verso di lui e aspettava pazientemente.

«Mi dispiace di interrompere questa scena patetica» disse Milton, «ma avevamo detto che saremmo tornati entro un’ora.»

«Non occorre tornare tutti. Senti, Jimmy, sii bravo, fai una corsa sino all’aereo e avverti il pilota che non stia in pensiero per noi.»

Ma Jimmy stava osservando il cielo: era stato il primo ad accorgersi che da qualche minuto un aeroplano stava compiendo dei giri concentrici sopra la vallata.

I loro evviva ebbero il potere di disturbare i placidi Marziani dal loro pacifico brucare, e più di uno sguardo carico di disapprovazione si posò su di loro. Quiicc poi si spaventò talmente che schizzò via con un balzo, ma si riprese subito dalla paura avuta e tornò verso di loro.

«Ci rivediamo più tardi!» gli gridò Gibson mentre si allontanavano di corsa dalla raduta. Gli indigeni non li degnarono neppure di un’occhiata.

Erano già quasi a metà strada quando Gibson si rese conto che qualcuno lo seguiva. Si fermò di colpo e si voltò. Ansimando forte, ma ostinandosi coraggiosamente a saltellargli alle calcagna Quiicc gli aveva tenuto dietro.

«Fila via» gli disse Gibson, agitando le braccia come uno spaventapasseri impazzito. «Torna dalla mamma. Non ho niente da darti.»

Ma non sortì il minimo effetto, e la sua pausa servì soltanto a fare sì che Quiicc potesse raggiungerlo. Gli altri avevano proseguito senza accorgersi che Gibson si era fermato. Persero così la scena divertente dello scrittore che cercava di sganciarsi dal suo nuovo amico senza offenderlo.

Dopo cinque minuti di tentativi inutili, ricorse all’astuzia. Per sua fortuna non aveva restituito a Jimmy il temperino, e dopo molto sbuffare riuscì a raccogliere una manciata di alghe marine che posò davanti a Quiicc. Sperava così di tenerlo occupato per un po’ di tempo.

Aveva appena terminata questa operazione che Hilton e Jimmy ricomparvero di corsa, preoccupati che gli fosse successo qualcosa.

«Vengo, vengo» disse Gibson. «Dovevo pure liberarmi di Quiicc in qualche maniera. Così avrà da fare per un bel po’ e non penserà a seguirmi.»

Intanto il pilota rimasto solo a bordo dell’aereo danneggiato, cominciava a preoccuparsi seriamente perché l’ora era quasi trascorsa e ancora non ricompariva nessuno. Uscito dalla cabina, si arrampicò sulla fusoliera riuscendo così a dominare un buon tratto della valle, fino alla zona scura, coperta di vegetazione, entro la quale gli altri si erano addentrati. Stava appunto scrutando in quella direzione quando da oriente spuntò l’aereo di salvataggio che cominciò a girare sulla valle.

Avuta la certezza che dall’aereo l’avevano avvistato, il pilota tornò a rivolgere l’attenzione a terra, e finalmente vide un gruppetto avanzare nella pianura, ma subito si fregò gli occhi convinto di avere le allucinazioni.

Nella foresta erano entrati in tre, e ora uscivano in quattro. E il quarto aveva un aspetto a dir poco insolito.

13

Dopo quell’avventura, che in seguito sarebbe stata definita il più fortunato incidente aviatorio nella storia dell’esplorazione marziana, la visita al Trivium Charontis nella zona di Porto Schiaparelli rappresentò fatalmente una delusione, tanto che, prevedendolo, Gibson avrebbe preferito annullarla e tornare subito a Porto Lowell con la sua scoperta. Avevano infatti rinunciato ai tentativi di liberarsi di Quiicc, e siccome alla colonia erano tutti impazienti di vedere finalmente un vero Marziano vivo, decisero di portare il cucciolo in aereo con loro.

Ma da Porto Lowell non permisero ai tre di tornare così presto. Passarono dieci giorni prima che venisse dato loro il permesso di rientrare nella capitale. Sotto le grandi cupole si stava intatti combattendo una battaglia decisiva per la conquista del pianeta. Una battaglia che Gibson seguì soltanto attraverso i comunicati radio, una battaglia silenziosa ma ugualmente micidiale, alla quale lui fu lieto di non essere stato testimone.

L’epidemia attesa dal dottor Scott era scoppiata. Quando fu al suo apice, un decimo della popolazione della colonia risultò colpita dalla febbre marziana.

Fortunatamente il siero portato dalla Terra riuscì a stroncare il male, e la lotta venne vinta con tre sole perdite. Quella fu anche l’ultima volta che la malattia colpì la colonia.

Il trasporto di Quiicc a Porto Schiaparelli comportò notevoli difficoltà perché si dovette imbarcare una gran quantità del suo cibo preferito. A tutta prima si dubitò che il marziano potesse sopravvivere nell’atmosfera ossigenata delle cupole, ma ci si rese conto che la cosa non lo disturbava affatto. L’aria diversa ebbe l’unico effetto di ridurre notevolmente il suo appetito. La spiegazione di questo fenomeno fu data molto più tardi. Invece non si scoprì mai la causa del suo attaccamento per Gibson. Qualcuno suggerì, alquanto malignamente, che era questione di affinità elettive, dipendenti dalla loro sagoma pressappoco uguale.

Prima di riprendere il viaggio, Gibson e i suoi compagni, insieme al pilota dell’aereo di salvataggio e agli uomini inviati in seguito per le riparazioni all’apparecchio danneggiato, fecero parecchie visite alla famiglia marziana.

Non trovarono altri gruppi, e Gibson si chiese se quelli non fossero per caso i soli esemplari rimasti sul pianeta. Come fu appurato in seguito, non era così.

L’aereo di salvataggio li aveva cercati seguendo la loro rotta subito dopo aver ricevuto un radiomessaggio da Phobos che annunciava l’avvistamento di segnalazioni luminose provenienti da Aetheria. Tutti erano rimasti con la curiosità di sapere come erano stati fatti quei segnali finché Gibson, con orgoglio comprensibile, ne aveva data la spiegazione.

Quando seppero che ci sarebbero volute solo poche ore per riparare i razzi del loro aereo, decisero di aspettare che le riparazioni fossero fatte anziché ripartire subito con un altro aereo, e impiegarono il tempo a studiare i Marziani nel loro habitat naturale. Fu allora che Gibson intuì il segreto della loro esistenza.

Probabilmente in un lontano passato erano stati respiratori di ossigeno, e i loro processi vitali dipendevano tuttora da questo elemento. Non potendo ottenerlo direttamente dal suolo, dove giaceva imprigionato a trilioni di tonnellate, lo assorbivano dalle piante. Gibson scoprì che i numerosi baccelli raggruppati sulle foglie a forma di alga marina contenevano ossigeno compresso. Grazie a un rallentamento del metabolismo, i Marziani erano riusciti ad adattarsi alle nuove condizioni ambientali, e adesso vivevano quasi in simbiosi con le piante che li rifornivano di cibo e aria. Era naturalmente un equilibrio assai precario, che una qualsiasi catastrofe naturale avrebbe potuto compromettere. Le condizioni su Marte avevano però da tempo raggiunto la stabilità, e tale equilibrio sarebbe quindi durato per millenni, a meno che non ci pensasse l’Uomo a capovolgerlo!


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