— Ma alcune persone capiscono — disse Takver, sforzandosi di essere ottimista. — Una donna sull’omnibus, ieri, non so dove l’ho incontrata, lavoro del decimo giorno da qualche parte, credo; mi ha detto: «Dev’essere bello vivere con un grande scienziato, dev’essere così interessante!» E io le ho risposto: «Sì, almeno c’è sempre qualcosa di cui parlare.» … Pilun, non ti addormentare, piccola! Shevek arriverà a casa tra poco e andremo a mensa. Dondolala un po’, Bedap. Be’, comunque, vedi, quella donna sapeva chi fosse Shevek, ma non mostrava né odio né disapprovazione, era molto gentile.

— La gente sa bene chi egli sia — disse Bedap. — È curioso, perché non possono capire il suo libro più di quanto possa capirlo io. Alcune centinaia di persone possono capirlo, pensa lui. Quegli studenti dell’Istituto Divisionale che cercano di organizzare corsi di Simultaneità. Io penso che venti, venticinque persone sia un numero più aderente alla realtà, per conto mio. Eppure la gente sa di lui, hanno la sensazione che sia qualcosa di cui andare fieri. Ecco una cosa che il Gruppo ha fatto, se non altro. Ha stampato i libri di Shevek. Può essere l’unica cosa saggia che abbiamo fatto.

— Oh, adesso! Devi avere avuto una seduta dura, oggi al CDP.

— L’abbiamo davvero avuta. Mi piacerebbe darti delle buone notizie, Takver, ma non posso proprio. Il Gruppo sta colpendo assai vicino al legame fondamentale societario, la paura dello straniero. C’era un giovanotto, oggi alla riunione, che minacciava apertamente delle rappresaglie. Be’, è una povera risposta, ma troverà altri pronti ad appoggiarla. E quella Rulag, maledizione, è una opponente formidabile!

— E sai chi è, Bedap?

— Chi è?

— Shevek non te l’ha mai detto? Be’, non ama parlarne. È la madre.

— La madre di Shevek?

Takver annuì. — L’ha lasciato quando aveva due anni. Il padre rimase con lui. Nulla d’inconsueto, naturalmente. Eccetto i sentimenti di Shevek. Egli sente di avere perduto qualcosa di essenziale… tanto lui quanto il padre. Non cerca di trarne qualche principio generale, che i genitori dovrebbero sempre tenere con sé i figli, o qualcosa di simile. Ma l’importanza che la fedeltà riveste per lui, io credo, va ricondotta a questo.

— Quel che è inconsueto — disse Bedap, forte, dimenticando la presenza di Pilun. che gli si era addormentata in braccio, — nettamente inconsueto, sono i sentimenti di Rulag verso di lui! Aspettava soltanto ch’egli si presentasse a una riunione dell’Importazione-Esportazione; la cosa era chiarissima, oggi. Sa che è l’anima del gruppo, e ci odia per causa sua. Perché? Sentimento di colpa? La Società Odoniana si è talmente corrotta che siamo oggi motivati dai sentimenti di colpa?Sai, adesso che mi hai detto questo, quei due si assomigliano. Soltanto che, in lei, è tutto indurito, duro come pietra… morto.

La porta si aprì mentre egli parlava. Entrarono Shevek e Sedik. Sedik aveva dieci anni, era alta per la sua età ed era sottile, tutta lunghe gambe, flessuosa e fragile, con una nube di capelli neri. Dietro di lei venne Shevek; e Bedap, osservandolo nella strana nuova luce della sua parentela con Rulag, lo vide come una persona può qualche volta vedere un amico di lunga, lunghissima data, con una nitidezza a cui contribuisce tutto il passato: la faccia splendida e reticente, piena di vita ma consumata, consumata fino all’osso. Era una faccia intensamente individuale, e tuttavia i connotati erano non soltanto simili a quelli di Rulag, ma anche a quelli di molti anarresiani, un popolo selezionato da una visione di libertà, e adattato a un mondo spoglio: un mondo di distanze, silenzi, solitudini.

Nella stanza, intanto: molta intimità, commozione, comunione; saluti, risa, Pilun che passava dall’uno all’altro, con poca soddisfazione dell’interessata, per venire coccolata, e la bottiglia che veniva passata dall’uno all’altro per bere; domande, conversazioni. Sedik, inizialmente, fu al centro dell’attenzione, poiché, di tutta la famiglia, era colei che veniva nella stanza con minore frequenza; poi il centro dell’attenzione passò su Shevek. — Che cosa voleva il vecchio sudicione?

— Sei stato all’Istituto? — chiese Takver, voltandosi verso di lui, che le si era seduto accanto.

— Ci sono andato adesso. Sabul mi aveva lasciato questa mattina un messaggio al Gruppo. — Shevek bevve il suo succo di frutta e abbassò la tazza, rivelando un curioso atteggiamento della sua bocca: una non-espressione. — Ha detto che la Federativa di Fisica ha libero un incarico a tempo pieno. Autonomo, permanente.

— Per te, vuoi dire? Laggiù? All’Istituto?

Egli annuì.

— Te l’ha detto Sabul?

— Cerca di arruolarti — disse Bedap.

— Sì, lo credo anch’io. Se non riesci a sradicarlo, addomesticalo, come dicevamo nell’Insediamento del Nord. — Shevek rise, bruscamente e spontaneamente. — E divertente, no? — disse.

— No — disse Takver. — Non è divertente. È disgustoso. Anzi, come hai potuto andare a parlare con lui? Dopo tutte le calunnie che ha diffuso sul tuo conto, le bugie sul fatto che i Princìpi erano stati rubati a lui, e il non averti detto che gli urrasiani ti avevano dato quel premio, e poi, l’anno scorso, quando ha fatto sciogliere quei ragazzi che avevano organizzato la serie di lezioni e li ha fatti allontanare a causa della tua «influenza cripto-autoritaristica» su di loro… proprio tu, un autoritarista! … è stato vomitevole, imperdonabile. Come puoi comportarti urbanamente con un uomo simile?

— Be’, non è soltanto Sabul, lo sai. Sabul è solo il portavoce.

— Lo so, ma a lui piace fare il portavoce. E si è comportato in modo schifoso per tanto tempo! Be’, cosa gli hai detto?

— Ho temporeggiato… come diresti tu — disse Shevek, e rise di nuovo. Takver lo osservò nuovamente, poiché adesso era certa che, nonostante il suo controllo, egli era in uno stato di tensione o di eccitazione estrema.

— Dunque, non gli hai detto un no deciso?

— Ho detto che alcuni anni fa mi ero ripromesso di non accettare alcuna assegnazione regolare di lavoro, per essere in grado di svolgere lavoro teorico. E così egli ha detto che, trattandosi di un incarico autonomo, sarei stato pienamente libero di portare avanti la ricerca che stavo facendo, e che lo scopo di dare a me l’incarico era quello di… sentite come l’ha messa lui… «facilitare l’accesso alla strumentazione sperimentale dell’Istituto, e ai regolari canali di pubblicazione e di diffusione.» Le edizioni del CDP, in altre parole.

— Be’, allora hai vinto — disse Takver, guardandolo con una strana espressione. — Hai vinto. Stamperanno ciò che tu scrivi. È quello che volevi quando siamo tornati qui cinque anni fa. I muri sono stati abbattuti.

— Ci sono dei muri dietro ai muri — disse Bedap.

— Avrò vinto soltanto se accetterò l’incarico. Sabul mi offre di… legalizzarmi. Di rendermi ufficiale. Allo scopo di separarmi dal Gruppo dell’Iniziativa. Non appare anche a te che sia questo il suo motivo, Bedap?

— Certo — disse Bedap. La sua faccia era cupa. — Dividi per indebolire.

— Ma riportare Shevek nell’Istituto, e stampare nelle edizioni del CDP ciò ch’egli scrive, è dare implicitamente un’approvazione a tutto il Gruppo, no?

— Potrebbe significare questo per molte persone — disse Shevek.

— No, non lo significherebbe affatto — disse Bedap. — Verrà spiegato. Il grande fisico è stato fuorviato da un gruppo di dissidenti, per un certo periodo. Gli intellettuali si lasciano sempre fuorviare, poiché essi pensano a cose irrilevanti come il tempo, lo spazio e la realtà, cose che non hanno niente a che vedere con la vita quotidiana, e così vengono facilmente ingannati dai cattivi deviazionisti. Ma i buoni Odoniani dell’Istituto gli hanno cortesemente spiegato i suoi errori, ed egli è ritornato sul sentiero della verità social-organica. Privando così il Gruppo dell’Iniziativa del suo unico concepibile elemento capace di richiamare seriamente l’attenzione di tutti gli abitanti di Urras e Anarres.


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