La Nonnina afferrò saldamente Esk per la spalla.
— Se per te fa lo stesso… — cominciò. Ma Esk si svincolò dalla sua presa e corse verso il carro.
— Davvero puoi farmi entrare? — Gli occhi le brillavano.
— Naturale. Sono sicuro che i capi degli Ordini saranno felici di conoscerti. Anzi, sorpresi e sbalorditi — aggiunse con una risatina.
— Eskarina Smith… — disse la Nonnina e s’interruppe. Guardò Treatle. — Non so che cosa hai in mente, signor Mago, ma non mi piace. Esk, sai dove abitiamo. Fai la sciocca, se proprio devi, ma potresti almeno essere sciocca solo da te stessa.
Girò sui tacchi e si allontanò di buon passo.
— Che donna notevole — commentò Treatle in tono vago. — Vedo che hai ancora la tua scopa. Grandioso.
Lasciò per un attimo le redini e fece un gesto complicato nell’aria con entrambe le mani.
I grandi battenti si aprirono e rivelarono un vasto cortile circondato da prati. Dietro c’era un grande edificio irregolare, o edifici. Difficile dirlo. Non sembrava tanto che fosse stato disegnato, ma che una quantità di contrafforti, archi, torri, ponti, volte, cupole e così via si fossero stretti insieme per riscaldarsi.
— È questa? — si meravigliò Esk. — Pare come se… l’avessero fusa.
— Sì, è questa. Alma mater, corazze sfarzose, camminamenti, eccetera. Naturalmente, dentro è molto più grande che all’esterno. Come un iceberg, mi dicono, io non li ho mai visti. L’Università Invisibile, e infatti gran parte è invisibile. Vai dietro e cerca Simon, vuoi?
Tirate indietro le pesanti cortine, Esk sbirciò dentro. Steso su un mucchio di tappeti, Simon leggeva un libro enorme e prendeva appunti su dei foglietti.
Alzò gli occhi e le sorrise.
— Sei tu? — chiese.
— Sì — affermò lei.
— Pensavamo che ci avessi lasciato. Ognuno credeva che stessi viaggiando con un altro e poi qqq-quando ci siamo fermati…
— In qualche modo vi ho raggiunti. Il signor Treatle vuole che tu venga a vedere l’Università.
— Siamo qui? — E con un’occhiata strana alla bambina: — E tu sei qui?
— Sì.
— Come?
— Il signor Treatle mi ha invitata a entrare, ha detto che tutti saranno sbalorditi quando mi incontreranno. — Negli occhi le brillò un lampo. — Aveva ragione?
Simon abbassò gli occhi sul libro e poi se li asciugò con un fazzoletto rosso.
— Lui ha d-di qq-queste piccole esagerazioni — borbottò — mmma non è cattivo.
Esk guardò con stupore le pagine ingiallite del libro aperte davanti al ragazzo. Erano zeppe di complicati simboli rossi e neri che, in modo inesplicabile, avevano la forza e la sgradevolezza di un pacchetto ticchettante. E che, tuttavia, attiravano lo sguardo proprio come fa un incidente gravissimo.
Vedendo la sua espressione, Simon si affrettò a chiudere il libro.
— È solo della magia — borbottò. — Qualcosa su cui sto lllll… …lavorando… — completò automaticamente la piccola.
— Grazie.
— Leggere libri deve essere molto interessante — osservò lei.
— Pressappoco. Tu sai leggere, Esk?
Lei fu punta dal suo tono di sorpresa.
— Penso di sì — rispose, con accento di sfida. — Non ho mai provato.
Esk non avrebbe saputo cos’era un nome collettivo nemmeno se le avesse sputato in un occhio, ma sapeva che cosa erano un gregge di capre e una congrega di streghe. Non sapeva invece che voleva dire un gran numero di maghi. Un ordine di maghi? Una cospirazione? Un circolo?
Qualunque cosa fosse, l’Università ne era piena. Maghi passeggiavano nei chiostri e sedevano sulle panche sotto gli alberi. Giovani maghi si affrettavano lungo i sentieri al suono di campane, con le braccia cariche di libri o, nel caso di studenti avanzati, con i libri che gli svolazzavano dietro nell’aria. L’aria aveva lo spessore oleoso della magia e un gusto di stagno.
Camminando fra Treatle e Simon, Esk assorbiva tutto. Non soltanto la magia era nell’aria, ma era soggiogata e funzionava come il canale che dal fiume porta l’acqua al mulino. Era sempre potere, ma era imbrigliato.
Simon provava la sua stessa eccitazione, ma questa si manifestava solo negli occhi che gli lacrimavano ancora di più e nella balbuzie ancora più accentuata. Continuava a fermarsi per additare i vari collegi e gli edifici destinati alla ricerca.
Uno di questi era basso e severo, con finestre alte e strette.
— Oq-quella è la bb-biblioteca — annunciò il ragazzo, con la voce piena di meraviglia e rispetto. — Posso dd-darci un’occhiata?
— C’è tutto il tempo più tardi — disse Treatle.
Simon sussurrò, con un’occhiata di desiderio: — Tutti i libri di mmm-magia che mm-mai siano ss-stati scritti.
— Perché ci sono le sbarre alle finestre? — chiese Esk.
Simon deglutì. — Uhm, pp-perché i li-libri di mm-magia non sono come gli altri li-libri, essi cc-conducono…
— Basta così — lo interruppe seccamente Treatle. — Guardò Esk come se la vedesse per la prima volta e si accigliò.
— Perché sei qui?
— Mi hai invitato tu.
— Io? Ah, sì. Naturale. Scusa, pensavo ad altro. La fanciulla che vuole diventare un mago. Continuiamo il giro, va bene?
Li guidò su per una grande scalinata che conduceva a una porta imponente. Per renderla tale, il disegnatore aveva abbondato in pesanti chiavistelli, cardini ricurvi, borchie d’ottone e un architrave dalle sculture complicate. Con il preciso scopo di rendere le persone che entravano consapevoli della loro irrilevanza.
Essendo un mago, l’architetto aveva dimenticato il battente.
Treatle batté sulla porta con la sua verga. Dopo una breve esitazione, quella tirò lentamente indietro i chiavistelli e si aprì.
L’atrio era pieno di maghi e di ragazzi. E dei genitori dei ragazzi.
Ci sono due modi per entrare nell’Università Invisibile. (In effetti, ce ne sono tre ma all’epoca i maghi non se ne erano resi conto).
Il primo consisteva nel compiere una grande impresa magica, quale il recupero di un’antica e potente reliquia o l’invenzione di un incantesimo assolutamente nuovo. Ma ciò si faceva ormai raramente. In passato c’erano stati grandi maghi capaci di creare nuovi incantesimi dalla magia pura e caotica del mondo: maghi dai quali erano scaturiti tutti i sortilegi della loro arte. Ma quei giorni erano passati. Non c’erano più incantatori.
Pertanto il metodo più tipico era di farsi sponsorizzare da un mago più anziano e rispettato, dopo il debito periodo di apprendistato.
C’era una competizione accanita per ottenere un posto all’Università e gli onori e i privilegi che accompagnavano una laurea Invisibile. Molti dei ragazzi che si aggiravano nella sala, lanciandosi incantesimi minori, non ci sarebbero riusciti. E avrebbero dovuto trascorrere la vita come modesti stregoni, semplici tecnologi magici con la barba e le toppe di pelle ai gomiti, che ai ricevimenti si univano in gruppetti gelosi.
Non per loro l’ambito cappello a cono (dai simboli astrologici come optional) o le vesti sontuose. E nemmeno la verga e l’autorità. Ma almeno potevano guardare dall’alto in basso i prestigiatori: tipi gioviali, grassi, inclini a storpiare le parole, bere birra e frequentare donne sparute dall’aria triste in calzamaglia di lustrini. E facevano infuriare gli stregoni perché, senza rendersi conto della propria inferiorità, insistevano a raccontargli barzellette. Più in basso di tutti (eccetto, naturalmente, le streghe) c’erano i taumaturghi, che mancavano totalmente di istruzione. Ci si poteva a malapena fidare di un taumaturgo per lavare un alambicco. Molti incantesimi richiedevano ingredienti quali lo stampo di un cadavere di una persona morta schiacciata, o lo sperma di una tigre viva o ancora la radice di una pianta che, sradicata, mandava uno strido ultrasonico. Chi era mandato a procurarseli? Giusto.
È un errore comune riferirsi ai ranghi magici inferiori come maghi di bassa estrazione. In realtà, la loro arte è una forma di magia specialistica e assai onorata. Essa attrae gli uomini silenziosi e introversi, di fede druidica e grande amore per le piante. Se si invita a un ricevimento uno di questi tipi, lui trascorrerà metà della serata a parlare alle piante in vaso dell’appartamento. E l’altra metà ad ascoltarle.