Esk notò la presenza in sala anche di qualche donna, perché perfino i giovani maghi hanno madri e sorelle. C’erano intere famiglie venute a dire addio ai figli con fondate speranze di successo. Genitori che si soffiavano il naso e si asciugavano le lacrime. Tintinnio di monete che padri orgogliosi mettevano in mano ai loro rampolli, come gruzzoletto da spendere.

I maghi più anziani camminavano tra la folla per parlare agli sponsor loro colleghi ed esaminare i candidati.

Parecchi di loro si fecero strada tra la calca per salutare Treatle, simili a galeoni dagli ornamenti dorati che si muovessero a vele spiegate. Si inchinarono gravemente davanti a lui, con uno sguardo di approvazione per Simon.

— Questo è il giovane Simon, vero? — chiese il più grasso di loro, con un sorriso radioso rivolto al ragazzo. — Abbiamo sentito grandi cose di te, giovanotto. Eh? Che cosa?

— Simon, inchinati all’Arcicancelliere Tagliangolo, Presidente dei Maghi della Stella d’Argento — disse Treatle. Simon ubbidì, con aria apprensiva.

Tagliangolo gli diede un’occhiata benevola e ripeté: — Abbiamo sentito grandi cose di te, ragazzo mio. Tutta quest’aria di montagna deve essere eccellente per il cervello, eh?

Rise. I maghi intorno a lui risero. Treatle rise. Esk trovò la cosa piuttosto buffa, visto che non succedeva nulla di particolarmente divertente.

— Nnn-non so, sss…

— Da quanto ci risulta, deve essere l’unica cosa che non sai, ragazzo- aggiunse Tagliangolo, con il doppio mento tremolante. Altre risate seguirono con un tempismo perfetto.

Tagliangolo batté Simon sulla spalla.

— Questo ragazzo è uno studioso — osservò. — Risultati davvero stupefacenti, mai visti di migliori. Autodidatta, anche. Strabiliante, che? Non è così, Treatle?

— Superbo, Arcicancelliere. Tagliangolo guardò i maghi presenti.

— Forse potresti darci un esempio. Una piccola dimostrazione, forse?

Simon lo guardò come un animale in preda al panico.

— In rr-realtà, nn-non sono mmm…

— Via, via — disse il grande mago in un tono di voce che secondo lui avrebbe dovuto essere incoraggiante. — Non avere timore. Prendi tutto il tempo che vuoi. Quando sarai pronto.

Simon si leccò le labbra aride e lanciò a Treatle un muto appello.

— Uhm, vvv-edi… — S’interruppe e deglutì con forza. — La fff…

Dagli occhi gli colarono le lacrime e le spalle gli si sollevarono. Treatle gli diede dei colpetti rassicuranti sulla schiena.

— Febbre da fieno — spiegò. — Non sembra possibile curarlo. Provato di tutto.

Simon deglutì di nuovo e annuì. Fece cenno a Treatle di scostarsi con le sue lunghe mani bianche e chiuse gli occhi.

Per qualche secondo non accadde nulla. Il giovane muoveva le labbra senza che ne uscisse alcun suono. Poi il silenzio si diffuse da lui come la luce di una candela. Piccole increspature di senza suono si propagarono attraverso la folla nella sala, urtarono le pareti con tutta la forza di un bacio soffiato e ne rimbalzarono in ondate. Le persone presenti guardavano i compagni muovere silenziosamente le labbra e poi si fecero rosse dallo sforzo di trattenere il riso, che venne fuori simile al ronzio di una grossa zanzara.

Intorno alla testa di Simon si accesero dei puntolini luminosi, che turbinarono e girarono a spirale in una complicata danza tridimensionale, per poi dar vita a una forma.

In realtà, a Esk sembrò che quella forma fosse stata lì tutto il tempo ad attendere che i suoi occhi la vedessero, allo stesso modo che una nuvola perfettamente innocente può trasformarsi d’improvviso, senza per questo mutare, in una balena o una nave o un volto.

La forma intorno al capo di Simon era il mondo.

La visione era perfettamente chiara, sebbene il luccichio e il turbinio delle piccole luci rendessero confusi alcuni dettagli. Ma c’era la Grande A’Tuin, la tartaruga celeste, e sul suo dorso i quattro Elefanti e su questi il Disco stesso. C’era lo scintillio della grande cascata intorno all’orlo del mondo e proprio al centro un sottile ago di roccia che era la grande montagna Cori Celesti, la dimora degli dei.

L’immagine si ampliò fino a comprendere il Mare Circolare e la stessa Ankh, con le piccole luci che si allontanavano da Simon e poi si spegnevano a pochi centimetri dalla sua testa. Mostravano adesso dall’alto la città, che correva incontro agli astanti. Ecco la stessa Università, che si faceva via via più grande. Ecco la Grande Sala…

…ecco le persone, che guardavano silenziose e a bocca aperta, e lo stesso Simon, tratteggiato da fiammelle di luce argentea. E una minuscola immagine luminosa nell’aria intorno a lui, e quella immagine conteneva una immagine e un’altra e un’altra…

Sembrava che l’universo intero fosse stato rivoltato a un tempo in tutte le sue dimensioni. Dava la sensazione che si fosse espanso, gonfiato. Si udì un suono come se il mondo intero avesse detto "gloop".

Le pareti svanirono. Così pure il pavimento. I ritratti dei grandi maghi defunti, con i loro cartigli, le loro barbe e i loro cipigli vagamente costipati, scomparvero… Sotto i piedi le piastrelle, con il loro bel motivo bianco e nero, evaporarono… e furono sostituite da una sabbia fine, grigia come la luce lunare e fredda come il ghiaccio. In alto, brillarono inaspettate strane stelle. Le basse colline all’orizzonte erano erose, in quel luogo privo di tempo atmosferico, non dalla pioggia o dal vento, ma dalla morbida cartavetrata del Tempo stesso.

Nessun altro sembrava averlo notato. Nessun altro, in effetti, sembrava vivo. Esk era circondata da persone immobili e silenziose come statue.

E non erano soli. C’erano dietro a loro altre… Creature… e altre comparivano senza sosta. Non avevano forma. O piuttosto pareva che assumessero la loro forma a casaccio da una molteplicità di esseri. Davano l’impressione che avessero sentito parlare di braccia, gambe, mascelle, artigli, organi, ma che non sapessero in realtà come si adattassero tra loro. O che non gliene importasse. O erano talmente affamate che non si davano la pena di scoprirlo.

Emettevano un suono come uno sciame di zanzare.

Erano le creature nate dai suoi sogni, venute a nutrirsi della magia. Sapeva che in quel momento non si interessavano a lei, se non come digestivo dopo pranzo. Erano unicamente concentrate su Simon, il quale era del tutto ignaro della loro presenza.

Esk gli sferrò un calcio alla caviglia.

Il freddo deserto svanì. E il mondo reale ricomparve. Simon aprì gli occhi, sorrise debolmente, e cadde all’indietro nelle braccia di Esk.

Dai maghi si levò un mormorio e parecchi di loro si misero a battere le mani. Nessuno sembrava avere notato nulla di strano, eccetto le piccole luci d’argento.

Tagliangolo si riscosse e alzò una mano per zittire la folla.

— Davvero… stupefacente — disse a Treatle. — E tu dici che ha fatto tutto da sé?

— È così, mio signore.

— Nessuno lo ha aiutato?

— Non c’era nessuno per aiutarlo — rispose Treatle. — Lui si limitava ad andare da un villaggio all’altro a fare dei piccoli incantesimi. Ma soltanto se la gente lo pagava con libri o carta.

Tagliangolo annuì. — Non si trattava di una illusione, eppure non ha usato le mani. Che cosa diceva tra di sé? Lo sai?

— Lui sostiene che sono semplicemente delle parole per far lavorare la sua mente come si deve. — Treatle si strinse nelle spalle. — Io non riesco a capire la metà di ciò che dice, e questo è un fatto. Lui afferma che deve inventarsi le parole, perché non ce ne sono per le cose che fa.

Tagliangolo lanciò un’occhiata ai suoi colleghi. Questi annuirono.

— Sarà un onore ammetterlo all’Università — dichiarò. — Vuoi dirglielo quando si sveglia?

Si sentì tirare l’orlo della tunica e abbassò gli occhi.

— Scusami — disse Esk.

— Salve, signorina. Sei venuta a vedere tuo fratello entrare all’Università? — domandò con voce melata.


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