Si accorse della Nonnina e s’interruppe.

Sempre farfugliando a bocca piena, la guida della vecchia strega spiegò, con una rapida riverenza: — Ha bussato alla porta.

— Sì, sì, grazie, Ksandra, puoi andare — disse la donna grassa. Si alzò in piedi, con un sorriso radioso alla Nonnina e la voce piena di rispetto.

— Scusaci, ti prego. Ci trovi tutte indaffarate, essendo giorno di bucato e tutto. Si tratta di una visita di cortesia o posso azzardarmi a chiederti — abbassò la voce — se c’è un messaggio dall’Altra Parte?

La Nonnina sembrò non capire, ma solo per un attimo. I segni stregati sullo stipite della porta stavano a indicare che la grassona gradiva le streghe ed era particolarmente ansiosa di avere notizie dei suoi quattro mariti. Anzi era anche alla caccia di un quinto: da qui la parrucca rossa e, se le orecchie della Nonnina non la ingannavano, lo scricchiolio di stecche di balena sufficienti a fare infunare un intero movimento ecologista. Credulona e sciocca, avevano rivelato i segni. La Nonnina si astenne dal giudicarla, perché ai suoi occhi le streghe di città non erano molto sveglie.

La governante dovette interpretare male la sua espressione.

— Non temere — le disse. — Il mio personale ha precise istruzioni di fare buona accoglienza alle streghe, anche se naturalmente quelli di sopra non approvano. Senza dubbio gradiresti una tazza di tè e qualcosa da mangiare?

La Nonnina s’inchinò con aria solenne.

— E vedrò se possiamo trovarti un bel pacco di vestiti vecchi — le sorrise la donna.

— Vestiti vecchi? Oh, sì. Grazie, signora.

La governante si avviò con il beccheggio di una vecchia goletta per il trasporto del tè durante una burrasca, e le fece cenno di seguirla.

— E ci farò portare del tè nel mio appartamento. Del tè con un sacco di foglie.

La Nonnina le andò dietro. Vestiti vecchi? Intendeva davvero questo la grassona? Che faccia tosta! Certo, se erano di buona qualità…

C’era un mondo intero sotto l’Università: un labirinto di cantine, locali frigoriferi, dispense, cucine e retrocucine e un gran numero di inservienti affaccendati a portare, pompare, spingere qualcosa. Oppure semplicemente ad aggirarsi lì intorno e gridare forte. La Nonnina ebbe una rapida visione di ambienti pieni di ghiaccio e altri dove il calore saliva da enormi stufe arroventate che prendevano un’intera parete. Dai locali adibiti a forno veniva l’odore del pane fresco e quello di birra stagionata dalle stanze dove erano allineate le grandi botti. Ma su tutto aleggiava l’odore di sudore e del fumo di legna.

La governante condusse la Nonnina su per una vecchia scala a chiocciola e aprì la porta con una delle grosse chiavi che le pendevano dalla cintura.

All’interno la stanza era tutta rosa e ornata di gale. Ce n’erano su oggetti sui quali nessuno sano di mente si sarebbe sognato di metterle. Era come trovarsi dentro lo zucchero filato.

— Molto carino qui — disse la vecchia. E aggiunse, sentendo che era ciò che l’altra si aspettava da lei: — Di buon gusto. — Cercò con gli occhi qualcosa senza tanti fronzoli su cui sedersi, e ci rinunciò.

— Che sventata sono! — trillò la grassona. — Io sono la signora Whitlow, ma immagino che tu lo sappia, naturalmente. E io ho l’onore di rivolgermi a…?

— Eh? Oh, Nonnina Weatherwax — si presentò la Nonnina. Tutte quelle gale le facevano uno strano effetto, unitamente al colore rosa.

Lei non aveva nulla contro la predizione del futuro, purché fosse fatta male da persone senza talento. La musica cambiava, però, quando a farlo erano persone capaci. Nella migliore delle ipotesi, secondo lei, il futuro era già una cosa molto fragile e, se scrutato troppo a fondo, veniva alterato. La Nonnina aveva delle teorie assai complesse sullo spazio e sul tempo e sul perché non bisognava impicciarsene. Ma per fortuna i buoni chiromanti erano rari e comunque la gente preferiva quelli cattivi, sui quali contare per riceverne la giusta dose di incoraggiamento e di ottimismo.

Lei sapeva tutto in proposito. Essere un cattivo chiromante era più difficile. Occorreva avere una buona immaginazione.

Si chiedeva se la signora Whitlow fosse una strega nata, che però non aveva avuto l’occasione di addestrarsi. Di certo era estremamente interessata al futuro. Aveva una sfera di cristallo riparata da una specie di copriteiera tutto volant rosa, diversi mazzi di tarocchi, un sacchetto di velluto rosa di pietre misteriose; un tavolinetto su rotelle che nessuna strega prudente avrebbe toccato nemmeno con un manico di scopa lungo tre metri. E (su questo punto la Nonnina non era sicura) degli speciali escrementi secchi di scimmia da un allevamento di lama oppure degli escrementi secchi di lama da un monastero, da gettare in modo da rivelare la somma totale delle conoscenze e della saggezza dell’universo. Tutto piuttosto squallido.

— O ci sono le foglie del tè, naturalmente — disse la signora Whitlow, indicando la grossa teiera marrone sul tavolo posto tra di loro. — So di certe streghe che spesso le preferiscono, ma a me sembrano sempre così… be’, ordinarie. Senza offesa.

La Nonnina le credette. La signora Whitlow la fissava con quello sguardo che hanno in genere i cuccioli quando non sono sicuri che cosa aspettarsi e cominciano a dubitare che possa trattarsi della solita palla di carta di giornale.

Prese in mano la tazza della sua ospite e si mise a scrutare il fondo. Scorse però l’espressione delusa che le passò sul viso come un’ombra su un campo innevato. Allora si riprese subito, la rigirò tre volte in senso antiorario, ci passò su ripetutamente la mano in gesto vago e borbottò un incantesimo (quello che di solito usava per curare la mastite nelle capre vecchie, ma non importa). Una simile esibizione di evidente talento magico servì a rallegrare visibilmente la signora Whitlow.

Anche se normalmente non era molto brava con le foglie del tè, la Nonnina scrutò la poltiglia zuccherata in fondo alla tazza e lasciò vagare la propria mente. In quel momento ciò di cui aveva veramente bisogno era un topo o anche uno scarafaggio, che si trovassero da qualche parte vicino a Esk, per poterne prendere in prestito la mente.

Invece scoprì che l’Università era dotata di una sua propria mente.

È risaputo che la pietra è in grado di pensare, perché tutta l’elettronica si basa su questo fatto. Ma gli uomini di altri universi non si stancano di cercare altre intelligenze nel cielo senza guardare nemmeno una volta sotto i loro piedi. Questo succede perché non hanno capito niente della misura del tempo. Dal punto di vista della pietra, l’universo è stato appena creato, le catene montuose vanno su e giù come i registri di un organo. Mentre i continenti si spostano allegramente avanti e indietro e collidono tra di loro per il semplice piacere della spinta acquistata. E la pietra si sgretola. Passa parecchio tempo prima che la pietra si accorga di essere affetta da una leggera dermatosi, e cominci a grattarsi. Il che va benissimo.

Tuttavia, le rocce con cui era stata costruita l’Università Invisibile avevano assorbito magia per migliaia di anni e tutto quel potere in libertà doveva pure andare da qualche parte.

Infatti, l’Università ha sviluppato una propria personalità.

La Nonnina l’avvertiva come un animale grosso e mansueto, che aspettasse soltanto di rivoltarsi sul dorso (cioè il tetto) e che qualcuno gli grattasse la pancia (e cioè il pavimento). Comunque, esso non le prestava alcuna attenzione. Ma osservava Esk.

La vecchia trovò la bambina seguendo la traccia dell’attenzione dell’Università e restò affascinata a contemplare la scena che si svolgeva nella Grande Sala…

— …lì dentro?

La voce le giungeva da una grande distanza.

— Uhm?

— Ho detto, che cosa vedi lì dentro? — ripeté la signora Whitlow.

— Eh?


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