— Ho detto, che cosa…
— Oh! — La Nonnina, confusa, richiamò la sua mente. Il guaio del Prestito di una mente altrui è di ritrovarsi sempre fuori posto quando si torna al proprio corpo. E lei era la prima persona che avesse mai letto la mente di un edificio. Adesso provava la sensazione di essere diventata grande, granulosa e piena di corridoi.
— Ti senti bene?
La Nonnina annuì e aprì le sue finestre. Allungò le sue ali a est e a ovest e si sforzò di concentrarsi sulla minuscola tazza che reggeva nei suoi pilastri.
Per fortuna la signora Whitlow attribuì la sua carnagione gessosa e il suo silenzio pietroso agli occulti poteri al lavoro. Da parte sua, la Nonnina scopriva che una rapida esposizione alla vasta memoria silicea dell’Università aveva stimolato moltissimo la sua immaginazione.
In una voce simile a un corridoio pieno di spifferi, che fece grande impressione sulla governante, sciorinò un futuro affollato di giovanotti appassionati che si contendevano i formosi favori della signora Whitlow.
Parlava molto in fretta, perché ciò che aveva visto nella Grande Sala la spingeva a tornare subito al portone principale.
— C’è un’altra cosa — aggiunse.
— Sì? Sì?
— Ti vedo assumere un’altra inserviente. Voi qui le assumete, vero? Bene… e questa è una ragazza molto giovane, molto economica, grande lavoratrice, sa fare di tutto.
— E che mi dici di lei, allora? — La grassona già assaporava la descrizione sorprendentemente precisa del suo futuro che le aveva fatto la Nonnina, e non stava in sé dalla curiosità.
— Su questo punto gli spiriti non sono molto chiari — rispose la vecchia. — Ma è molto importante che tu l’assumi.
— Non c’è problema. Sai, è impossibile qui tenere le serve, non per lungo tempo. È tutta questa magia. Che trasuda quaggiù, sai. Specie dalla biblioteca, dove tengono tutti quei libri magici. Ieri due delle cameriere dell’ultimo piano si sono licenziate; hanno detto che erano stufe di andare a letto senza sapere sotto quale forma si sarebbero svegliate la mattina. I maghi più anziani le ritrasformano, sai. Ma non è la stessa cosa.
— Già, be’, gli spiriti dicono che a questo riguardo la ragazza non creerà dei problemi — affermò la Nonnina in tono cupo.
— Se sa spazzare e strofinare i pavimenti, ben venga. Sono sicura. — La grassona pareva un po’ sconcertata.
— Lei si porta perfino la sua scopa. Voglio dire, secondo gli spiriti.
— Molto conveniente. Quando arriverà questa ragazza?
— Oh, presto, presto… è quanto dicono gli spiriti.
Un lieve sospetto passò sul viso della governante. — Questo non è il genere di cose che di solito rivelano gli spiriti. Dov’è che lo dicono, di preciso?
— Qui — asserì la Nonnina. — Guarda, quel mucchietto di foglie tra lo zucchero e quella crepa lì. Ho ragione?
I loro sguardi s’incontrarono. La signora Whitlow poteva anche avere le sue debolezze, ma aveva abbastanza polso per governare il mondo degli scantinati dell’Università. Ma la Nonnina avrebbe sostenuto anche lo sguardo di un serpente. Dopo qualche secondo gli occhi della donna presero a lacrimare.
— Sì. Immagino che hai ragione — disse mansueta e pescò un fazzoletto dai recessi del suo petto.
— Bene, allora. — La Nonnina si appoggiò allo schienale e ripose la tazza sul piattino.
— Ci sono moltissime occasioni qui per una ragazza che vuole lavorare sodo — affermò la signora Whitlow. — Io stessa ho cominciato come serva, sai.
— Lo facciamo tutte — osservò vagamente la vecchia. — E adesso devo andare. Si alzò e prese il cappello.
— Ma…
— Devo sbrigarmi. Un appuntamento urgente — disse la Nonnina a! di sopra della spalla mentre si affrettava giù per la scala.
— C’è un pacco di vestiti vecchi…
La Nonnina si fermò. I suoi istinti si battevano per avere il sopravvento.
— C’è del velluto nero?
— Sì e della seta.
La vecchia strega non era sicura di approvare la seta, che aveva sentito dire venisse fuori da un bruco, ma il velluto nero aveva per lei un’attrazione potente. Vinse la lealtà.
— Mettili da parte. Può darsi che tornerò a farti visita — gridò e corse via per il corridoio.
Cuoche e sguattere si precipitavano a nascondersi al passaggio della vecchia sulle lastre scivolose; lei fece di volo la scala che portava al cortile e sfrecciò per il vialetto, con lo scialle svolazzante alle sue spalle e gli stivali che facevano sprizzare scintille sui ciottoli. Una volta fuori, si tirò su le gonne e partì al galoppo, svoltò l’angolo che dava sulla piazza prendendo una curva così stretta che i suoi stivali stridettero sul selciato e lasciarono un segno bianco.
Arrivò giusto in tempo per vedere Esk in lacrime che usciva correndo dalla grande porta.
— La magia non ha funzionato! Potevo sentirla, ma non ha voluto venire fuori!
— Forse ti sforzavi troppo — la consolò la Nonnina. — La magia è come andare a pesca. Saltellare e schizzare acqua non ha mai catturato un pesce, bisogna starsene quieti e lasciare che accada naturalmente.
— E poi tutti hanno riso di me! Uno mi ha perfino dato un dolce!
— Allora, hai tratto un vantaggio dalla giornata.
— Nonnina! — l’accusò la piccola.
— Be’, che cosa ti aspettavi? Almeno hanno soltanto riso di te. Le risate non fanno male. Sei andata a piantarti davanti al capo dei maghi e a metterti in mostra davanti a tutti e ne hai ricavato solo delle risate. Proprio brava, davvero. Hai mangiato il dolce?
Esk si accigliò. — Sì.
— Che cos’era?
— Caramella.
— Non posso soffrire le caramelle.
— Uh, suppongo che la prossima volta vorrai che mi diano una mentina?
— Non fare la spiritosa con me, cara signorina. Non c’è niente che non vada con le mentine. Passami quella coppa.
Un altro vantaggio della vita di città, aveva scoperto la Nonnina, erano gli articoli di vetro. Certe delle sue pozioni più complicate richiedevano oggetti che era necessario acquistare dai nani a prezzi esorbitanti oppure, se ordinati al più vicino vetraio, arrivavano avvolti nella paglia e. di solito, a pezzi. Aveva provato a fabbricarseli da sé, ma lo sforzo di soffiarli la faceva sempre tossire, con risultati molto buffi. Ma, grazie alla fiorente arte alchimistica della città, c’era una quantità di negozi dove comprare articoli di vetro e una strega poteva sempre spuntare prezzi vantaggiosi.
Osservò intenta il vapore giallo salire nell’intrico di tubi ritorti e condensarsi alla fine in una grossa goccia viscosa. La raccolse abilmente in un cucchiaio di vetro e la versò con cautela in una fialetta pure di vetro.
Esk la guardava attraverso le lacrime.
— Che cos’è? — domandò.
— È noncibadare. — La Nonnina sigillò il tappo della fiala con della cera.
— Una medicina?
— Per modo di dire. — La vecchia si tirò vicino l’occorrente per scrivere e scelse una penna. Con la punta della lingua che le spuntava da un angolo della bocca, prese a compilare un’etichetta, interrompendosi di frequente per cancellare e ponderare sull’ortografia.
— Per chi è?
— La signora Herapath, la moglie del vetraio.
Esk si soffiò il naso. — Quello che non soffia molto vetro, è lui?
La Nonnina la guardò da sopra il bordo del tavolino.
— Che vuoi dire?
— Ieri, quando lei parlava con te, lo chiamava Vecchio Signore Ogni Due Settimane.
La vecchia si limitò a borbottare un — Uhm — e finì la frase: "Sciolgliere in un quarto d’acqua e assicurarsi di portare un abito comodo e niente visitatori attesi."
"Un giorno" si disse "dovrò farle quel discorsetto."
Stranamente, su quel punto la bambina si dimostrava poco sveglia. Aveva già assistito a parecchie nascite e portato le capre dal becco della vecchia Nanny Annaple senza trarne le ovvie conclusioni. La strega non sapeva bene come rimediarci, ma non sembrava mai il momento giusto per abbordare il soggetto. Si chiedeva se, in fondo in fondo, non fosse troppo imbarazzata. Si sentiva come un veterinario, che era capace di ferrare cavalli, di curarli, di allevarli e darne un giudizio. Ma che aveva solo una vaga idea di come cavalcarli.