— Non ho mai visto la cosa in questo modo. Ma non dobbiamo perdere.

— Stiamo a vedere come Ender se la cava. Se cedesse, se dovessimo rinunciare a lui, chi resta? Chi altro c’è?

— Compilerò una lista di nomi.

— Nel frattempo cerchi il modo di tenere Ender sulla giusta strada.

— Gliel’ho detto. Bisogna isolarlo e tenerlo isolato. Non dovrà mai presumere che qualcuno può venire in suo aiuto, mai. Se pensasse per una sola volta che questa è la via d’uscita più facile, sarebbe rovinato.

— Lei ha ragione. Sarebbe terribile se sospettasse per un solo istante che ha un amico.

— Gli amici non gli mancheranno. Ciò che non avrà più sono i genitori.

Gli altri ragazzini avevano già scelto le loro cuccette quando Ender li raggiunse. Si fermò sulla soglia della camerata, e i suoi occhi cercarono l’unica branda rimasta libera. Il soffitto era così basso che alzandosi in punta di piedi avrebbe potuto toccarlo. Era un dormitorio per bambini, e la cuccetta inferiore dei letti poggiava sul pavimento. Quasi tutti lo stavano osservando senza parere. Ender si disse che senza dubbio la cuccetta in basso, a destra della porta, era la sola lasciata vuota. Per un momento fu costretto a riflettere che permettendo loro di affibbiargli il posto peggiore avrebbe incoraggiato futuri soprusi. Tuttavia costringere qualcun altro a cedergli il suo era fuori discussione.

Così girò intorno un ampio sorriso. — Ehi, grazie, ragazzi! — esclamò, senza alcun sarcasmo. Il suo tono suonò sincero come se gli avessero riservato il posto migliore. — Credevo che avrei dovuto pagare per ottenere la cuccetta inferiore accanto alla porta.

Poggiò un ginocchio al suolo e guardò nell’interno dell’armadietto aperto fissato ai piedi del Iettuccio. Allo sportello era incollato un cartoncino che diceva:

Poggia una mano sullo scanner
collegato alla tua cuccetta
e pronuncia il tuo nome due volte.

Ender trovò lo scanner, una piastra di plastica opaca. Vi applicò la mano sinistra e disse: — Ender Wiggin. Ender Wiggin.

Per un secondo la piastra brillò di una luce verde. Ender chiuse lo sportello e provò a riaprirlo. Non ci riuscì. Allora mise la mano sullo scanner e disse: — Ender Wiggin. — La serratura si aprì con uno scatto. Lo stesso accadde quando collaudò gli altri tre armadietti personali.

Uno di essi conteneva quattro tute da fatica uguali a quella che indossava, ed una bianca. In un altro c’era un banco elettronico, estraibile, simile a quello che aveva avuto a scuola. Dunque non l’aveva finita con le fatiche dello studio.

Fu nell’armadietto alto e stretto che trovò l’oggetto più interessante. A un primo sguardo gli parve una vera tuta spaziale, completa di elmo a pressione e guanti. Ma non aveva i collegamenti per le bombole d’aria. Tuttavia era studiata per contenere e proteggere il corpo, con spesse imbottiture. Al tatto la sentì un po’ rigida.

E insieme ad essa c’era una pistola. Un’arma laser a giudicare dalla forma della canna, che terminava con un solido cilindro vitreo. Ma senza dubbio non avrebbero permesso a dei ragazzini di maneggiare armi così mortali…

— Non è un laser — disse una voce d’uomo. Ender si voltò. Era un giovanotto che non aveva mai visto prima, simpatico e di bell’aspetto. — Però emette un raggio di luce polarizzata, molto ristretto. Proiettato su un muro a centro metri di distanza forma un disco luminoso largo appena venti centimetri.

— A cosa serve? — domandò Ender.

— Nelle partite che combattiamo in sala di battaglia. Qualcun altro ha gli armadietti aperti? — L’uomo si guardò attorno. — Voglio dire, avete seguito le istruzioni e codificato la voce e l’impronta palmare? Non potrete usare le serrature finché non lo fate. Questa camerata sarà la vostra casa almeno per il primo anno, qui alla Scuola di Guerra, perciò scegliete una cuccetta e tenetevela. Di regola lasciamo che le reclute scelgano un capo-camerata, il quale prende la cuccetta inferiore accanto alla porta, ma sembra che questo posto sia già stato occupato. Ormai è impossibile ricodificare le serrature. Decidete quale compagno intendete scegliere. La cena è fra sette minuti. Seguite le tracce luminose sulla pavimentazione. Il vostro colore-codice è rosso giallo giallo… vale a dire che quando avrete ordine di seguire un percorso assegnato questo sarà rosso giallo giallo, tre linee affiancate, e andrete nella direzione che esse indicano. Qual è il vostro colore-codice, ragazzi?

— Rosso giallo giallo.

— Molto bene. Il mio nome è Dap. Nei mesi che ci attendono io sarò la vostra mammina.

I ragazzi risero.

— Ridete finché volete ma fate quello che vi dico. Se vi perderete nelle strutture della Scuola, cosa che a volte capita, non andate in giro ad aprire tutte le porte che vedete. Alcune si apriranno… ma soltanto sul vuoto. — Ci furono altre risate. — Quando capita, dite al più vicino inserviente che la vostra mammina è Dap, e mi chiameranno. O dite il vostro colore, e loro accenderanno un percorso per rimandarvi a casa. Se avete dei problemi, venite a parlarne con me. Ricordate sempre che qui dentro io sono l’unica persona pagata apposta per essere simpatico con voi. Ma simpatico fino a un certo punto. Fatemi uno sgarbo e io vi romperò la faccia. D’accordo?

Di nuovo tutti risero. Dap aveva una camerata piena di amici. I ragazzini spaventati sono facili da conquistare.

— Qualcuno di voi sa dirmi da che parte è il basso?

Le loro voci gli risposero in coro.

— Certo, è proprio così. Ma questa direzione indica soltanto l’esterno. La stazione sta ruotando, e l’effetto fa sì che questo sia il basso. In realtà il pavimento su cui state è curvo. Se lo seguite finirete per ritrovarvi nello stesso posto da cui siete partiti. Ma non provateci, perché in quella direzione ci sono le stanze degli insegnanti, e in quella opposta le camerate dei ragazzi più grandi. E ai ragazzi più grandi non piace ritrovarsi fra i piedi voialtri pivelli. Potrebbero farvi qualche brutto scherzo. Anzi, i brutti scherzi vi saranno fatti. E quando questo accadrà non venite a piangere da me. Capito? Questa è la Scuola di Guerra, non un asilo infantile.

— Ma allora cosa dovremo fare? — chiese un ragazzino, un soldo di cacio dalla pelle nera che occupava la cuccetta superiore accanto a quella di Ender.

— Se c’è qualcuno a cui i soprusi non piacciono, pensi lui stesso al modo di difendersene. Ma vi avverto: l’assassinio è tassativamente proibito. E così anche le ferite inferte deliberatamente. Mi è stato detto che fra voi c’è già stato un tentativo di omicidio. Un braccio rotto. Se una cosa del genere capita di nuovo, qualcuno finirà congelato. Mi avete inteso?

— Cosa significa congelato? — domandò il ragazzino col braccio immobilizzato nella steccatura.

— Congelato. Sbattuto fuori nello spazio. Rimandato sulla Terra. Comunque, con la Scuola di Guerra avrà chiuso.

Nessuno guardò dalla parte di Ender.

— Così, pivelli, se qualcuno di voi sta pensando di andare in cerca di guai, qui dentro, farà meglio a darsi una regolata. Chiaro?

Dap uscì. Gli occhi dei ragazzi continuarono a evitare Ender.

Ma d’improvviso lui aveva sentito la mano gelida della paura attanagliarlo allo stomaco. Il ragazzo a cui aveva spezzato il braccio… non provava alcun rimorso per averlo fatto. Era un altro Stilson. E come Stilson stava già radunando una piccola banda attorno a sé. Un pugno di ragazzini, quelli fra i più robusti. Stavano ridendo fra loro sul fondo della camerata, e ogni tanto uno si voltava a guardare Ender.

Lui sentì un desiderio struggente di tornare a casa. Cos’avevano a che fare loro col fatto di salvare il mondo? Non c’erano monitor, adesso. Era di nuovo lui, da solo, contro una banda di ragazzini, con la differenza che ora li aveva proprio nella sua stanza. Di nuovo Peter, ma senza Valentine.


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