— Uno studente modello — dicevano i suoi insegnanti. — Vorrei averne altri cento come lui. Studia assiduamente, non termina mai un compito in ritardo. Ha desiderio d’imparare.

Ma Valentine sapeva che era una mistificazione. Peter voleva imparare, certo, ma non erano gli insegnanti a dargli un’istruzione. Lui studiava per suo conto a casa, sul banco, collegando lo schermo a biblioteche e banche di dati; seguiva programmi suoi e, soprattutto, parlava con Valentine. A scuola poi si comportava come se le puerili lezioni del giorno lo eccitassero. «Oh! Ah! Non sapevo che le rane, dentro, fossero fatte così!» era capace di dire. Ma a casa studiava la struttura intima delle cellule e le attività chimiche del DNA. Peter era un maestro della mistificazione, e i suoi insegnanti ci cascavano.

Ciò malgrado lo si poteva definire un buono. Non si batteva con nessuno, non faceva il bullo, andava d’accordo con tutti quanti. Era un nuovo Peter.

Così tutti credevano. Mamma e Papà lo dicevano così spesso che Valentine finiva per mugolare spazientita. Non è un nuovo Peter! È il vecchio Peter, solo più sottile!

Quanto sottile? Più sottile di te, Papà. Più sottile di te, Mamma. Più sottile di chiunque abbiate conosciuto.

Ma non più sottile di me.

— Sto ancora cercando di decidere — disse Peter, — se assassinarti o cos’altro.

Valentine s’appoggiò al tronco rugoso del pino e sospirò sulle ceneri sparse del suo focherello. — Anch’io ti amo tanto, Peter.

— Sarebbe talmente facile. Fai sempre questi stupidi piccoli fuochi. Un colpo alla nuca, un tizzone fra le vesti, ed ecco costruito lo sfortunato incidente. Così periscono le falene.

— E io ho pensato di castrarti nel sonno.

— No, non è vero. Tu pensi cose come queste soltanto quando sei con me. Perché io porto fuori il meglio di te. No, credo che non ti ucciderò, Valentine. Ho deciso che puoi essermi d’aiuto.

— Io, eh? — Qualche anno prima le minacce di Peter l’avrebbero terrorizzata. Ora invece non le facevano più molto effetto. Non che ne dubitasse: era capace di ucciderla davvero. Non riusciva a pensare a un solo delitto, per quanto terribile, che lui non avrebbe potuto commettere. Sapeva anche che non era pazzo, nel senso che non perdeva il controllo di se stesso. Era l’individuo più controllato che lei conoscesse. Salvo forse lei stessa. Peter sapeva rimandare l’esaudimento di un desiderio per tutto il tempo che gli era necessario; riusciva a mascherare qualsiasi emozione. Perciò Valentine era certa che non l’avrebbe mai uccisa in un accesso di rabbia. L’avrebbe fatto solo se i rischi fossero stati inferiori ai vantaggi. E non lo erano. In un certo senso si fidava di Peter più che di altri proprio per questo: sempre, e invariabilmente, le sue azioni erano calcolate in base ai suoi interessi. E così, per tutelare se stessa, le bastava accertarsi che Peter trovasse più vantaggioso lasciarla in vita.

— Valentine, i nodi stanno venendo al pettine. Ho scoperto dei movimenti di truppe in Russia.

— Di cosa stiamo parlando?

— Del mondo, Val. Hai sentito parlare della Russia? L’impero sovietico? Il Patto di Varsavia? Quelli che tengono in pugno l’Eurasia dall’Olanda al Pakistan?

— Non rendono pubblici i loro movimenti di truppe, Peter.

— Naturalmente no. Ma le ferrovie sovietiche pubblicano mensilmente il numero di passeggeri trasportati sulle varie linee. Io ho fatto analizzare al mio banco queste statistiche, per estrapolare quando treni contenenti truppe potrebbero muoversi sulle stesse linee. Già da tre anni sto dietro a questa cosa. Negli ultimi sei mesi su certe linee ci sono stati i mutamenti di orario e la diminuzione dei convogli passeggeri da me previsti. Si stanno preparando alla guerra. Sul territorio, almeno.

— E che mi dici degli Alleati? E degli Scorpioni? — Valentine non sapeva a cosa lui stesse mirando. Ma spesso Peter la attirava in discussioni di quel genere, in tono pratico e sugli eventi del mondo. La usava per mettere alla prova le proprie idee, e perfezionarle. In quel procedimento anche lei perfezionava le sue opinioni. Aveva scoperto che, mentre di rado si trovava d’accordo con Peter sul come il mondo avrebbe dovuto essere, spesso concordava con lui su ciò che il mondo effettivamente era. Erano diventati abbastanza esperti nell’estrapolare informazioni plausibili dai servizi filmati o stampati dei giornalisti, spesso ignoranti e quasi sempre superficiali. I manovali della notizia, come li chiamava Peter.

— Il Condottiero è russo, no? E lui sa cosa sta succedendo nelle alte sfere della Flotta, sia che gli Scorpioni non siano più considerati una minaccia, sia che s’avvicini una grossa battaglia. In un caso o nell’altro la guerra con gli Scorpioni sta per concludersi. E i russi si preparano per quel che accadrà dopo.

— Se spostano truppe, dev’essere sotto la direzione dello Stratega.

— È tutto interno ai confini del Patto di Varsavia.

Questo era preoccupante. La facciata della pace e della collaborazione continuava indisturbata fin dall’inizio delle ostilità con gli Scorpioni. Ciò che Peter aveva scoperto contrastava gravemente con quella situazione. E lei aveva un quadro mentale, chiaro come un ricordo, dei comportamenti delle nazioni prima che gli extraterrestri le costringessero a unirsi. — Dunque tutto sta tornando com’era un tempo.

— Con pochi cambiamenti. Lo scudo spaziale continuerà a impedire il lancio di missili e di armi atomiche, così dovremo ammazzarci l’un l’altro a migliaia invece che a milioni. — Peter sogghignò. — Ora come ora sono in attività la Flotta e le forze armate, e l’Egemonia è in mano agli Stati Uniti. Una volta finita la guerra con gli Scorpioni tutto questo potere si dissolverà, perché è tenuto insieme da una paura comune. E quando ci guarderemo intorno scopriremo tutto a un tratto che le vecchie alleanze sono svanite o moribonde. Salvo una: il Patto di Varsavia. E l’economia del dollaro resterà sola contro cinque milioni di laser. Noi avremo la Cintura degli Asteroidi, ma loro avranno la Terra, e lassù non ci vuol molto a finire le scorte di sedano e di uva passa, senza la Terra.

Quel che seccò maggiormente Valentine fu il vedere che Peter non sembrava per nulla preoccupato. — Senti, perché mi sta venendo l’idea che tutto questo potrebbe essere un’opportunità dorata per Peter Wiggin?

— Per me e per te, Val.

— Peter, tu hai dodici anni. C’è una parola per quelli della nostra età: ci chiamano bambini, e ci trattano di conseguenza… se non sgarriamo.

— Ma noi non pensiamo come gli altri bambini. Giusto, Val? Non parliamo come bambini. E soprattutto non scriviamo come bambini.

— Per una chiacchierata cominciata con minacce di morte, Peter, mi pare che siamo andati alquanto fuori argomento. — Tuttavia Valentine si accorse d’essere eccitata. Scrivere era una cosa che faceva meglio di Peter. Entrambi lo sapevano. Ne aveva perfino parlato una volta, quando aveva dichiarato che lui riusciva a capire ciò che gli altri odiavano di più in se stessi, per poi tormentarli, mentre lei intuiva quello che in loro li compiaceva di più e se ne serviva per adularli. Era un modo cinico di vedere la cosa, ma era vero. Valentine sapeva far accettare agli altri ì suoi punti di vista; riusciva a convincerli che desideravano ciò che lei voleva che desiderassero. Peter, per contro, poteva indurii a temere quel che voleva che temessero.

Quando lui glielo aveva fatto notare, lei se n’era impermalita. Le piaceva pensare d’esser brava a convincere la gente perché aveva ragione, non perché era più svelta di mente. Ma per quanto dicesse a se stessa che non avrebbe mai manovrato qualcuno nel modo esposto da Peter, la rallegrava sapere che, a suo modo, avrebbe potuto controllare gli altri. E non soltanto ciò che facevano. Lei riusciva a controllare ciò che volevano fare. Provar piacere per quella capacità le rimordeva la coscienza, ciò malgrado talvolta s’era scoperta a usarla. Far sì che gli insegnanti agissero come lei voleva, e così gli altri studenti. Far sì che Mamma e Papà vedessero una cosa dal suo punto di vista. A volte era capace di persuadere perfino Peter. Questa era la cosa più terribile di tutte: capire Peter a tal punto e avere con lui un’empatia così profonda da entrare nella sua testa a quel modo. Dentro di lei c’era più Peter di quanto sopportasse di ammettere, benché ogni tanto riuscisse a esaminarsi fino a quel livello. E mentre Peter parlava, in lei tornò quel pensiero: Tu sogni il potere, Peter. Ma a mio modo io sono più potente di te.


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