Dopo una lunga pausa, lei disse: — Sì.

Gli occhi della ragazza lampeggiarono stranamente nella luce irrequieta.

— Ti stanno aspettando — disse poi, con quella voce soffocata e irridente, e all’improvviso avanzò e passò oltre Hugh, non tornò indietro, come lui si aspettava, scendendo il sentiero verso quella terra crepuscolare, ma lo superò, brusca, svelta, concreta, e continuò a procedere nel mattino. Dopo poco più di un metro la massa dei cespugli la nascose, e dopo un altro momento anche il suono lieve dei suoi passi svanì.

Hugh rimase sbalordito e svuotato nell’aria tepida e leggermente polverosa del bosco, continuamente scossa dalla vibrazione di macchine lontane. Una chiazza di luce solare filtrava tra le foglie e danzava sull’involucro marrone del suo sacco a pelo, in un movimento incessante.

E adesso dove andrò? Non ho nessun posto dove andare.

Era stanco, esausto dalle emozioni… collera, paura, angoscia. Si sedette sul bordo del sentiero, con una mano sullo zaino, per proteggerlo, o forse per cercare sicurezza. La spaventosa sofferenza della privazione non l’abbandonava, non diminuiva.

Forse lo sente anche lei, pensò. È come se io glielo avessi tolto.

Ma non posso farne a meno. Devo ritornare. Non ho nessun altro posto dove andare. Lei non ha il diritto… Quella non era la parola più appropriata, ma Hugh non sapeva come esprimersi altrimenti.

Tornerò. Non lascerò qui la mia roba. Almeno, non nella radura della porta. Potrei andare oltre… risalire il ruscello per un tratto. Lei non può andare dovunque. Non c’è ragione perché dobbiamo incontrarci mai più.

A meno che io non possa più uscire.

Quel pensiero passò lieve attraverso la sua mente. Il terrore panico che l’aveva dominato quando la porta aveva condotto soltanto nel proseguimento del crepuscolo era già sprofondato dentro di lui, troppo per riemergere facilmente. Se è ancora così, posso aspettare, si disse, e passare con lei, quando verrà.

Lei è come me; viene da qui. Ma ha detto che qui c’è gente che ci vive.

Ma la sua mente si scostò anche da quel pensiero. Non è necessario che io li incontri. Non c’è mai stato nessuno, nel luogo in riva al ruscello. E adesso lei se ne è andata. Tornerò…

Spinse la sua roba sotto i cespugli impolverati e spinosi, si alzò, e ridiscese il sentiero verso la soglia, entrò nel crepuscolo, giunse all’acqua limpida dove, finalmente, s’inginocchiò e bevve. L’acqua gli lavò la faccia e le mani, portò via la vergogna e la paura. — Questa è la mia patria — disse alla terra e alle rocce e agli alberi, e con le labbra quasi a contatto dell’acqua, bisbigliò: — Io sono te. Io sono te.

Arrivò a Sam’s Thrift-E-Mart alle dieci, e alle dieci e cinque aprì la Cassa Sette. Donna alzò la testa dal registratore della Sei. — Stai bene, Buck?

Per Hugh erano trascorsi due giorni e tre notti da quando aveva lasciato il lavoro con un’ora d’anticipo, ieri pomeriggio; non ricordava perché Donna poteva pensare che lui non stesse bene.

Lei lo squadrò dalla testa ai piedi con un’espressione curiosa, cinica e tuttavia ammirata. — Non stavi affatto male — gli disse. — Avevi qualcosa di meglio da fare. — Poi batté il prezzo d’una confezione di cola da sei e un pacchetto di salatini al formaggio per un vecchio tremulo e con la barba ispida, dicendo a lui e a Hugh: — Non è meraviglioso essere giovani? Ma io non vorrei passarci di nuovo neppure se mi pagaste.

Hugh non esplorò molto avanti, verso valle. La gola del ruscello diventava più profonda; sembrava sempre più buio in quella direzione. Verso monte, rispetto alla radura della porta, il sottobosco era meno fitto, e in molti punti le rive del ruscello erano sgombre, ampie e sabbiose. Giunse in un luogo dove il ruscello, sotto un filare di grandi salici, veniva strozzato da uno sperone di roccia rossa che tagliava obliquamente il suo corso in gradini e ripiani. Al disopra dell’acqua bianca c’era uno specchio profondo e allungato. Le rive erano sovrastate dagli alberi, ma il minuscolo laghetto era scoperto, sotto il cielo. Quel luogo aveva un’atmosfera remota, racchiusa: nessun altro sarebbe venuto lì.

Hugh preparò un nascondiglio per la sua roba nella biforcazione di un albero basso, così avviluppato da un rampicante a foglie minute che restò celato persino al suo sguardo fino a quando non vi mise le mani. Raccolse un po’ di legna da ardere, quasi tutti rami di un vicino albero morto, e scavò un focolare nella sabbia della riva riparata, appena al disopra della barriera di roccia rossa. Preparò il fuoco. Poi si tolse la camicia e i jeans e in silenzio, eretto, si immerse nel laghetto immobile. Accanto alla barriera di roccia, l’acqua era più alta di lui. Nuotò, con una gioia silenziosa e intensa, fino a quando non sopportò più il freddo, e si diresse verso la riva, rabbrividendo e intormentito dai crampi, e accese il fuoco.

Le fiamme erano bellissime nel crepuscolo limpido. Si accovacciò nudo perché il calore gli penetrasse nella pelle, nelle ossa. Alla fine si vestì e si preparò una tazza del miscuglio dolce, caffè-cioccolato, che aveva comprato in offerta speciale, e sedette a berlo, in pace. Quando il fuoco si fu consumato, ne coprì ogni traccia con la sabbia, rimise le scarpe, e si incamminò per esplorare ancora più avanti, verso monte.

Ormai ci veniva tutti i giorni. Metà della sua vita la trascorreva nella terra crepuscolare. Quando era lì, persino il ritmo del suo respiro era diverso, più profondo. Quando si svegliava dal sonno che dormiva lì, un sonno più profondo del sogno, oscuro e irresistibile come le correnti del ruscello, rimaneva disteso per un po’, pigramente, ascoltando lo scorrere dell’acqua e il fruscio delle foglie, pensando: Resterò qui… resterò ancora un poco… Non lo faceva mai. Quando era al lavoro, nel supermercato, o quando era a casa, non pensava molto alla terra crepuscolare. Esisteva: non aveva bisogno di sapere altro, mentre batteva un conto di sessanta dollari o calmava sua madre, dopo una giornata faticosa alla società di prestiti dove lei lavorava. Esisteva, e lui poteva tornarvi, tornare al silenzio che dava significato alle parole, al centro che dava forma al mondo.

Non aveva più trovato la porta chiusa, e aveva pensato ben poco a quella possibilità. In un certo senso, la causa doveva essere stata la ragazza. Era accaduto perché lei era lì, e per questo lei aveva potuto annullarlo, passando insieme a lui dall’altra parte. Di tanto in tanto pensava a lei, con apprensione eppure con rimpianto. Se non fosse stata così piena d’odio e di rabbia, forse avrebbero potuto parlare. Aveva lasciato che la ragazza gli desse ordini, era stata colpa sua. Lei avrebbe potuto dirgli qualcosa di quella terra. A quanto sembrava, la conosceva da più tempo e meglio di lui. Se anche non viveva lì, conosceva coloro che ci vivevano.

Se quegli altri esistevano davvero. Hugh vi pensava spesso, durante le soste silenziose nel luogo dei salici. Tutto quello che la ragazza aveva detto era qualcosa come «Tu non conosci la lingua,» e poi, quando lui aveva chiesto se c’era gente che viveva lì, aveva detto di sì, ma dopo aver esitato, e con un tono falso o forzato. Aveva cercato di spaventarlo. E l’idea era minacciosa. Essere lì solo era la gioia più grande. Essere solo, non essere costretto a cercare di tenere a bada gli altri, le loro esigenze, le loro pretese, i loro comandi.

Ma coloro che vivevano lì, come potevano essere? Che lingua parlavano? Lì nulla parlava. Nessun uccello cantava mai. Dovevano esserci animali nei boschi, ma erano sfuggenti, silenziosi. Lì non c’era bisogno che qualcuno desse fastidio a qualcun altro.

Hugh pensava a queste cose mentre stava seduto in silenzio accanto al fuocherello vivace in riva all’acqua, sotto i salici. Lì, un pensiero poteva occupare la sua mente per lungo tempo, trovare lo spazio per espandersi ed esaurirsi. Hugh non aveva mai ritenuto di essere particolarmente stupido, e a scuola s’era fatto abbastanza onore nelle materie che gli piacevano, ma sapeva che la gente lo giudicava stupido perché non era svelto. La sua mente non funzionava affrettatamente, precipitosamente. Poteva venire lì e pensare con calma, e questo giustificava in gran parte il senso di libertà che provava. L’alternanza tra due vite completamente diverse, l’attraversamento ripetuto della soglia tra Kensington Heights e la terra crepuscolare, avrebbero potuto confonderlo e sfinirlo, se non fosse stato per la forza che acquisiva nelle soste in riva al ruscello. Se ne stava tranquillo, semplicemente e completamente preso dalle sue attività, camminare, nuotare, dormire, pensare, usare i sensi; e quella quiete totale sostituiva la sensazione di venire sospinto precipitosamente attraverso la vita, senza il tempo di chiedere cosa stava facendo o dove avrebbe dovuto essere, senza il tempo di vedere che c’erano possibilità di scelta, e di scegliere. Anche là, se si aggrappava alla quiete che trovava qui, anche là riusciva a pensare un poco.


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