Tutti i corrugamenti del terreno erano situati trasversalmente al suo percorso. Le valli erano semibuie; nel profondo della semioscurità c’era sempre la voce di una sorgente o di un ruscello. Non era difficile salire i pendii, ma diventavano sempre più imponenti e più alti, via via che lui avanzava, e le ascese erano sempre più lunghe dei declivi, come se tutto il terreno fosse inclinato. Quando giunse al terzo grande ruscello, si fermò per fare una nuotata; e dopo aver nuotato decise di concedersi un giorno di vacanza. Quella frase gli piacque. Era assolutamente esatta. Poteva prendere qualunque segmento di tempo volesse e chiamarlo un giorno; un altro segmento e chiamarlo notte, e dormire. Non aveva mai fatto l’esperienza del tempo, prima, pensò mentre sedeva accanto alle braci del fuoco di arbusti, sulla riva del ruscello. Aveva lasciato che lo facessero gli orologi, per lui. Erano gli orologi che facevano funzionare tutto, là dall’altra parte: le ore di lavoro, i semafori, gli orari degli aerei, gli appuntamenti degli innamorati, gli incontri al vertice, le guerre mondiali… era impossibile andare avanti senza orologi; ma il tempo degli orologi stava più o meno al tempo senza orologi come una tavoletta di legno o una scatola di stuzzicadenti stava a un abete. Lì era inutile chiedere: — Che ora è? — perché non c’era nulla che ti rispondesse, non c’era il sole che dicesse — Mezzogiorno — non c’erano orologi che dicessero — Le sette e trentotto e quarantadue secondi. — Dovevi rispondere tu stesso alla domanda, e la risposta era: — Adesso.

Hugh dormì, e non sognò nulla, e si svegliò lentamente, così rilassato che in un primo momento non riuscì quasi ad alzare la mano.

A partire da quel terzo ruscello, il terreno divenne più accidentato. Era inclinato interamente verso l’alto, e adesso i rii minuscoli scendevano accanto al sentiero, o l’attraversavano. Il sentiero era nitido. Chiunque l’avesse aperto, in qualunque momento fosse stato aperto, non c’erano rifiuti, né tracce di un passaggio recente; ma il percorso era inequivocabile, saliva agevolmente e con decisione, svoltando avanti e indietro sui pendii ma puntando sempre nella stessa direzione generale. La finalità del sentiero era tutto ciò che Hugh aveva: e lasciava che lo guidasse. La foresta era diventata più fitta, massicci filari di abeti, dove il crepuscolo era pesante. Non c’era altro suono che il fruscio del vento tra gli abeti, un suono immenso e quieto. Hugh attraversava le piste minuscole dei conigli o dei topi o di altri timidi abitatori dei boschi, e a un certo punto scorse accanto al sentiero un piccolo cranio frantumato; ma non vedeva esseri viventi. Era come se ognuno, lì, serbasse la propria solitudine. E il senso della sua solitudine lo assalì mentre saliva i lunghi pendii indistinti nella quiete immutabile. Vedeva se stesso, piccolissimo, che camminava in quel territorio selvaggio, e andava da nessun posto a nessun posto, solo. Avrebbe potuto continuare a camminare per sempre. Perché il tempo, al di là degli orologi, era sempre il presente, e la via per l’eternità è il presente.

La fame spezzò la trance e il suo passo. Si fermò per mangiare; quando proseguì si sentì meno sognante, più vigile. Ora il sentiero diventava in certi punti così scosceso che lui si appoggiava sulle mani protese in avanti per riposare, e sentiva la montagna premere contro le sue palme, la mole e la profondità e la forza della terra, la sua pelle granulosa irruvidita dalle pietre e dalle radici. Da molto tempo, il sentiero aveva alquanto deviato verso la sinistra dell’asse della porta. Ora ritornò verso quell’asse e divenne pianeggiante. Hugh poteva tenersi eretto e camminare liberamente, e quel ritmo più agevole era un sollievo. Gli abeti si affollavano fitti, alti e scuri, e sotto i loro rami anche l’aria era scura; ma guardando davanti a sé, Hugh vedeva l’ampiezza sgombra della pista, che lì era quasi una strada. E nell’aria secca percepì una volta, e poi una volta ancora, l’odore lieve del fumo di legna.

Adesso procedeva con fermezza, vigile, intento.

La strada disegnò una lunga curva ascendente, avanti e avanti. I pendii sottostanti, a destra, divennero più scoscesi e cominciarono a scendere così bruscamente che gli alberi sotto la strada non ostruivano più la visuale. Per la prima volta, in quella terra, Hugh poteva vedere lontano. Vedeva che era sul fianco di una montagna. Sulla destra e più avanti, oltre la distesa digradante delle cime degli alberi, il profilo d’una montagna più lontana spiccava scuro contro il chiarore del cielo. Hugh continuò a camminare più lentamente, un po’ stordito, con la sensazione di aleggiare tra le immense valli oscure e gli abissi immani del cielo. Guardò lungo la strada, quando svoltò di nuovo, e vide annidati contro il dosso della montagna i tetti e i comignoli di una piccola città, il bagliore di una finestra illuminata nella semioscurità fredda. Quella era la sua patria; e si avviò da quella parte, e percorse la via tra le finestre rischiarate dalle lampade, e sentì una voce di bambino gridare parole che lui non comprendeva.

4.

Nella luce del giorno lui non sembrava più così grande e grosso, ed era più giovane di quanto Irene avesse immaginato, aveva la sua età o anche meno, un ragazzo pesante, con le spalle curve e la faccia bianca. Era stupido, e non capiva nulla di quello che lei diceva. — Devo ritornare — diceva, come se le chiedesse il permesso, come se lei potesse o volesse accordarglielo. — Sto cercando di avvertirti — disse lei; ma lui non comprese, e Irene non lo sopportò più. Aveva camminato dalla Città della Montagna fino alla porta, ed era stanca per questo e per la collera e il terrore del confronto con lo sconosciuto, e doveva proseguire e andare a casa, pulire, mangiare, andare al lavoro (Patsi avrebbe chiesto dove aveva passato la notte) ed era giorno fatto, mercoledì, e lei aveva promesso di portare la roba di sua madre alla lavanderia a secco. Lui stava lì, con il carbone del cartello che gli chiazzava la faccia, ed era il nemico spregevole, e lei doveva lasciarlo e andare, senza sapere se avrebbe trovato la strada aperta, quando fosse tornata.

Era più presto di quanto avesse pensato. Arrivò all’appartamento poco dopo le sei. Rick e Patsi non si parlavano più da un paio di giorni, e lei era inclusa nel loro mutismo vendicativo, perciò non le chiesero dove aveva passato la notte. Quando rientrò dal lavoro quella sera, Patsi continuò a interpretare la sua assenza notturna come un segno di slealtà, e l’ignorò alteramente; Rick vi alluse soltanto per i propri scopi… — Merda, e chi ha voglia di dormire qui?

Lei era stata contenta di andare a stare con Rick e Patsi, l’autunno precedente. Erano generosi senza esagerare la partecipazione, e amavano che l’appartamento fosse abbastanza pulito per viverci, ma non tanto da fare ammattire. Il fatto che lei pagasse un terzo dell’affitto era importante, per loro, dato che Rick non lavorava. Era stata una buona sistemazione, e la sarebbe stata ancora adesso, ma Rick e Patsi stavano per rompere, e quindi nessuna sistemazione che li includesse come coppia poteva essere buona. La cosa peggiore, adesso, era che Rick intendesse servirsi di lei contro Patsi, e il fatto che fosse rimasta fuori una notte e non desse spiegazioni lo aveva convinto che sarebbe stata forse disponibile per qualcosa di più d’un approccio fasullo. Le sarebbe bastato dire che aveva passato la notte in casa di sua madre, ma non voleva abbassarsi a mentirgli; Rick non meritava più l’onore di una bugia. Continuava a cercare di venire nella sua camera per parlare. Giovedì sera insistette; era una cosa seria, disse, dovevano discutere del futuro, Patsi non era disposta a parlare sul serio, ma qualcuno doveva pur farlo. Io no, pensò Irene. Rick, un giovane magro di venticinque anni, coperto di pelo ricciuto e rossiccio come un orsacchiotto sciupato, restava con pigra perseveranza fra lei e la porta della sua camera. Indossava solo un paio di jeans, con le ginocchia consunte e bizzarramente spalancate. Le dita dei piedi erano lunghissime ed esili. — Non ho voglia di parlare di qualcosa di particolare — disse Irene, ma Rick continuò, affermando che lì qualcuno doveva pur decidersi a parlare, e che voleva spiegare certe cose, di sé e di Patsi, che Irene doveva sapere.


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