— C’è più di una strada per la Città — disse lui.

— Tu ci sei mai stato?

Horn la guardò con gli occhi grigi e distanti.

— Sono stato alla Città. È per questo che vengo chiamato Nobile, perché ci sono stato — disse lui, gentile e freddo e calmo.

— Hai visto il Re?

— L’ombra — disse Horn. — Ho visto l’ombra luminosa del Re. — Ma la parola era femminile, quindi doveva indicare la Regina o la Madre; e nessuna delle parole che pronunciava aveva significato, e lei le comprendeva come non aveva mai compreso nulla, in vita sua. Gli occhi sempre distanti erano fissi nei suoi. Se tendessi la mano e lo toccassi, vedrei chiaramente, pensò Irene. Lo schermo scomparirebbe e io sarei tanto là che qui. Ma quella conoscenza mi distruggerebbe.

Gli occhi grigi di Horn dicevano gentilmente: Non toccarmi, bambina.

Qualcuno si stava avvicinando a loro, che stavano accanto al camino. Irene distolse lentamente lo sguardo da Horn e vide, con indifferenza, che era il Padrone Sark.

— Ora che Irena è qui, mio signore, possiamo parlare più liberamente al nostro ospite — disse il Padrone, con deferenza ma con tono ufficiale e impaziente.

Il vecchio lo guardò e, come sempre, parlò dopo una pausa. — Sta bene. Parlerai per noi e per lui, Irena?

— Sì — disse lei. Si sentiva liberata dallo stupore che l’aveva imprigionata tanto a lungo. Sentiva di potersi fidare di nuovo della propria volontà. Attrasse l’attenzione di Hugh; gli altri, ammutolendo, si raccolsero intorno al camino in un semicerchio irregolare. Allia era la più vicina a Hugh. Lui deviò lo sguardo da lei a Irene con gli occhi intenti e chiari, un po’ apprensivi, candidi come quelli di un bambino. Il Nobile Horn parlò, e Irene tradusse le sue parole e quelle di Hugh.

— Chiediamo il tuo servizio, chiediamo il tuo aiuto. Hugh annuì.

— Non abbiamo alcun diritto su di te. Se farai ciò che chiediamo, sarà per pura misericordia verso coloro ai quali non restano altre speranze.

— Capisco.

— Noi non potremo aiutarti, e sarai in pericolo.

Dopo un momento, Hugh disse: — Quale pericolo?

Irene non comprese interamente la risposta di Horn, ma la tradusse in inglese meglio che poté: — Noi che viviamo qui abbiamo paura… siamo la paura, ha detto… e quindi non possiamo affrontare il nemico… solo l’altro, lo straniero, può volgere la faccia… per la verità, non capisco cosa stia dicendo.

— Chiedigli chi è il nemico.

Irene lo chiese. Horn rispose: — L’occhio che vede dà la forma, la mente che sa dà i nomi. — Le sue parole vennero rese così in inglese, quando lei le riferì.

— Enigmi — disse Hugh con un sorriso. Rifletté, fece per formulare una domanda, e si trattenne; attese. La pazienza gli si addiceva, pensò Irene. C’era dignità in lui, sotto la goffaggine. Forse era parte della goffaggine.

— Che cosa gli darai da portare, mio signore? — chiese il Padrone.

— La spada che ho ricevuto, se la vuole — rispose Horn.

— Che cosa gli darai da dare, mio signore?

Irene aveva incominciato a tradurre a Hugh quella frase quando si accorse che il vecchio parlava, lentamente come sempre, ma con aspra enfasi: — Tu sei il nipote di tuo nonno, Sark, ma dove sono i figli di sua figlia?

— Tutti noi — disse il Padrone. — Tutti noi siamo suoi figli.

— I figli della paura. E quindi siamo legati. E le nostre mani destre sono inutili. Vorresti venderci di nuovo, Sark? Allia, porta la spada.

Allia attraversò la galleria, andò a una cassapanca che stava contro la parete interna, e s’inginocchiò, e aprì il coperchio.

La tensione tra Horn e il Padrone era così grande, e le sue origini erano così oscure a Irene, che non cercò neppure di tradurre a Hugh quelle ultime frasi che si erano scambiati. Come lui, rimase immota a guardare Allia.

Con il pallido vello di capelli fluttuanti, la ragazza riattraversò la galleria reggendo nelle mani un’esile, fulgida striscia di luce. Si fermò davanti al padre; lui indicò Hugh con un cenno breve e solenne. Allia si girò verso Hugh e sollevò un poco le mani; sorrideva, ma le sue labbra e il suo volto erano pallidi.

Hugh guardò la spada e disse sottovoce: — Mio Dio.

Senza sollevare lo sguardo verso Allia o Horn o Irene, afferrò l’impugnatura, goffamente e con un’espressione ostinata sul volto, e sollevò la spada dalle mani della ragazza. Era evidentemente pesante. Hugh non l’alzò, non cercò di provarla o di farla mulinare, ma la tenne impacciato in aria davanti a sé, come una barriera.

— Da questo devo dedurre — disse, con distacco, — che qualunque cosa dovrò affrontare, è reale.

— Credo di sì — mormorò Irene.

— Speravo che fosse magica. Sarebbe stato più facile. Ascolta. Sarà bene che dica loro che alle medie-superiori non ho fatto un corso di scherma.

Posò meticolosamente la punta della spada sul pavimento lucido, e tenne la mano sul pomolo, guardando l’impugnatura e la lama con un’espressione di riluttante rispetto. L’impugnatura splendidamente modellata sembrava fatta per la sua grossa mano; la lama era sottilissima e lunga. L’elsa, dove Irene cercava con gli occhi una guardia trasversale, come nelle spade dei libri illustrati, era una massiccia flangia ovale ornata da un cerchio di gemme gialle.

Finalmente, alzando lo sguardo dalla spada, Irene si accorse che era la prima a farlo. Il volto di Sark era contratto e invecchiato; Horn continuava a guardare imperturbabile.

— Dice che non è abile nel maneggiare le spade, mio signore — disse Irene, e provò un piccolo, strano piacere malizioso nel farlo, un senso di solidarietà con Hugh, contro Horn e tutti gli altri.

— Non so se l’abilità gli servirebbe — disse il vecchio. — Non potevo mandarlo disarmato. — La sua voce era triste, e la scintilla di sfida si spense in Irene.

— È la sua spada, proveniente dalla Città, credo — disse lei a Hugh.

— Ti ringrazio — disse Hugh al vecchio, nella lingua del crepuscolo; poi, a Irene: — Bene, possono dirmi dove devo andare e che cosa fare?

Quando lei fece quella domanda, alcuni degli uomini che erano rimasti in silenzio ad ascoltare risposero: — Sulla montagna — disse uno, e un altro disse: — Nella montagna — e il vecchio Hobim disse: — È la montagna. — Il Padrone intervenne. — Sulla montagna, nel pascolo estivo del Gradino Alto. Irena conosce la strada per arrivarci.

— No! — s’intromise Allia, con un’espressione stravolta e atterrita. — Lasciate andare me… andrò io con lui…

— Non puoi — obbiettò Sark. — Ti trascineresti carponi, implorando di tornare indietro, prima di aver attraversato il ponte. — Parlò con soddisfazione vendicativa, senza curarsi di nasconderla. Allia si rivolse al padre, con il viso bianco nascosto fra le mani, piangendo.

— Spiegami che cosa dicono — chiese Hugh a Irene, disperatamente.

— Vogliono che tu salga sulla montagna, al pascolo più alto. Allia vuole guidarti, ma sa che non può farlo. Il Nobile Horn…

Ma il vecchio stava parlando, a Sark: — Manderesti ancora la bambina, Sark? Tu conosci l’unica via. Ma non può mandarla, né tenerla. E una strada procede in due direzioni. Dove sono rivolti i loro visi, se sono venuti a noi dal sud?

— Digli che non importa — fece Hugh. — Andrò dove vogliono. Se vado in cerca di guai con questo coso, immagino che li troverò.

— La strada è lunga, e vi sono diversi sentieri. Verrò con te, sono già stata lassù.

— Sta bene — disse lui, senza discutere.

Irene si rivolse a Horn. — Andrà. Io andrò con lui.

Il vecchio chinò la testa.

— Quando dovremo andare?

— Quando volete.

— Quando vuoi andare? — chiese lei a Hugh. Cominciava a sentirsi scossa; le lacrime di Allia le facevano venir voglia di piangere.

— Prima è, e meglio sarà.

— Lo pensi davvero?

— Voglio farla finita — disse Hugh, semplicemente. Guardò Allia, protetta dal braccio del padre; lei non alzò la testa per incontrare i suoi occhi.


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