Affascinante, e sempre più affascinante. Il file conteneva alcuni rapporti segreti della Sicurezza Imperiale fatti durante un'indagine sulla morte misteriosa di un prigioniero affidato a Metzov, un ribelle komarriano che aveva ammazzato un secondino e poi era stato ucciso mentre tentava di fuggire. Quando la Sicurezza aveva chiesto il corpo del komarriano per l'autopsia, Metzov aveva esibito solo un'urna di ceneri e delle scuse: se soltanto l'avessero informato prima che mandasse il corpo alla cremazione, ecc. ecc. L'ufficiale incaricato dell'indagine aveva sentito puzza di tortura illegale — forse per vendicare la morte della guardia? — ma non aveva potuto sommare abbastanza prove da richiedere la macchina della verità per diversi testimoni barrayarani, fra i quali un certo alfiere-tecnico Ahn. L'investigatore aveva registrato una protesta formale contro la decisione dei suoi superiori di chiudere il caso, e la faccenda era finita lì. Evidentemente. Se esistevano altri particolari oscuri erano solo nella testa di Simon Illyan, un archivio a cui Miles per il momento non intendeva chiedere accesso. Tuttavia la carriera di Metzov s'era fermata lì, all'improvviso e definitivamente.

— Miles — lo interruppe Ivan per la quarta volta, — sul serio, non credo che dovresti farlo. Questa è roba da leggere a occhi chiusi, da dimenticarsi prima di averla saputa.

— Certo. Tuttavia l'obbligo del cavo per la trasmissione istantanea non mi sembra un granché come precauzione. Aggirarla è stato facile, anche se nessun agente nemico se la sentirebbe di stare lì un'ora a far passare un file schermata dopo schermata, col pericolo d'essere sorpreso e fucilato.

— Non parlare di fucilazione! — Ivan spense l'altro schermo con una mano umida di sudore. L'immagine ondeggiò selvaggiamente quando trascinò la scrivania al suo posto, poi ci fu il fruscio dei suoi stivali che cancellavano freneticamente le tracce dalla moquette. — Tu non mi hai chiesto niente e io non ho fatto niente. Chiaro?

— Non essere sciocco. Noi non siamo agenti nemici. — Miles rifletté un momento. — Però… suppongo che qualcuno dovrebbe dire a Illyan che nelle sue misure di sicurezza c'è questo buco.

— Non io!

— Perché no? Presentala come una tua brillante scoperta puramente teorica. Magari ti guadagni un encomio. Non c'è bisogno di raccontare che l'abbiamo messa in pratica. Oppure puoi dire che l'abbiamo fatto per controllare se l'ipotesi funzionava. Eh?

— Tu sei veleno per la mia carriera, ragazzo — disse severamente Ivan. — Non ingombrare più il video del mio telefono. Salvo che a casa. D'accordo?

Miles annuì con un sogghigno e permise al cugino di tornare al suo lavoro. Per un po' rimase seduto davanti ai display collegati ai satelliti, su cui le immagini colorate delle nuvole e dei fronti di pressione si distorcevano lentamente, pensando al comandante della Base e al genere di incidenti che potevano accadere ai prigionieri poco tranquilli.

Be', era successo molto tempo prima. Metzov sarebbe scomparso di scena da lì a cinque anni, con la sostanziosa pensione dei suoi quarant'anni di servizio, dileguandosi fra altre migliaia di vecchi militari pieni solo di vecchi ricordi. Non era tanto un problema da risolvere quanto uno a cui sopravvivere, per quanto riguardava Miles. Il suo scopo ultimo alla Base Lazkowski, si ripeté, era di svanire dalla Base Lazkowski, silenzioso come un refolo di fumo. A suo tempo si sarebbe lasciato alle spalle anche Metzov.

Nelle settimane che seguirono, Miles riuscì a sistemarsi in una routine sopportabile. La sola vera novità fu che arrivarono le reclute. Tutte e cinquemila. Il rango di Miles fece un balzo e si spostò al disopra delle loro teste, ovvero a livello di quasi-umano. La Base Lazkowski fu investita dalla prima neve, mentre i giorni si accorciavano, più un wha-wha di media entità che durò poche ore, eventi che lui previde entrambi con soddisfacente precisione.

Cosa ancor più positiva, fu decisamente scalzato dal rango di Idiota dell'Isola (spiacevole titolo che deteneva dal giorno dell'incidente con la motopulce) ad opera di un gruppo di reclute che una notte diedero fuoco a due alloggiamenti contigui durante un esperimento scientifico: avevano scommesso che le loro ventosità naturali contenevano gas metano infiammabile. Il giorno dopo, alla riunione degli ufficiali dove si discusse dell'inefficienza degli impianti antincendio, il suggerimento di Miles circa la possibilità di disarmare gli eventuali incendiari abolendo lo stufato di fagioli rossi dal menu fu scartato dal generale Metzov con un'occhiata gelida. Anche se in corridoio, uscendo, un capitano del reparto sussistenza si complimentò con lui per il rigore logico con cui aveva aggredito la causa prima dell'incidente.

CAPITOLO QUINTO

Miles era già fuori dal letto e vestito a metà quando nella sua mente stordita penetrò la constatazione che quel clacson non era l'avvertimento del wha-wha. Si fermò, con uno stivale in mano. Neppure l'allarme antincendio o quello per attacco nemico, decise. Allora non erano fatti suoi, qualunque cosa fosse. Il ritmico strombazzare tacque. Ah, la saggezza dei vecchi proverbi: il silenzio era d'oro.

Controllò l'orologio digitale. Non erano neppure le nove di sera. Aveva dormito meno di due ore, dopo essere rientrato esausto da un lungo viaggio nell'interno dell'isola, sotto una bufera di neve, per riparare un guasto alla Stazione Undici. Sulla consolle accanto al letto nessuna luce rossa lampeggiava per informarlo di qualche lavoro fuori programma da eseguire con urgenza. Niente gli impediva di rimettersi a dormire.

Il silenzio era inquietante.

Infilò anche il secondo stivale e mise la testa fuori dalla porta. Un paio di altri ufficiali avevano fatto lo stesso e stavano speculando sottovoce sui possibili motivi dell'allarme. Il tenente Bonn uscì dalla sua stanza e s'incamminò in fretta lungo il corridoio, abbottonandosi il parka. Aveva un'espressione tesa, fra preoccupata e irritata.

Miles corse ad afferrare il suo parka e lo raggiunse sulle scale. — Ha bisogno di una mano, tenente?

Bonn abbassò lo sguardo su di lui e si mordicchiò un labbro. — Può darsi — concesse.

Miles lo affiancò, segretamente compiaciuto che Bonn lo ritenesse capace di rendersi utile. — Che sta succedendo?

— Un incidente di qualche genere in uno dei bunker dei gas tossici. Se è quello che penso, potremmo avere un brutto problema per le mani.

Fuori dalla doppia porta che manteneva il calore nell'atrio degli alloggi ufficiali la notte era fredda e chiara come il cristallo. La neve fresca crepitava sotto gli stivali di Miles; un secco vento dell'est aveva spazzato via le nuvole, e le stelle brillavano nitide sopra le luci della Base. I due salirono sulla motopulce di Bonn, annebbiando il parabrezza con il fiato finché il riscaldamento non entrò in funzione. Bonn prese la strada che usciva dalla Base verso ovest e aumentò la velocità.

Qualche chilometro dopo l'ultimo campo di addestramento, alcuni bassi edifici col tetto coperto di zolle sbucavano dalla neve. Davanti a uno dei bunker erano posteggiati alcuni veicoli: tre motopulci, inclusa quella del comandante dei vigili del fuoco, e un'ambulanza. Fra di essi si muovevano due o tre torce elettriche. Bonn si fermò sul ciglio della strada e scese subito. Miles gli tenne dietro, attento a non scivolare sulla neve che le ruote avevano compresso in uno strato di ghiaccio.

Il medico-chirurgo si stava occupando di un soldato in uniforme da campo che tossiva, seduto nel retro dell'ambulanza, mentre due infermieri manovravano per introdurre nel veicolo una barella su cui ne giaceva un secondo con una coperta addosso. Il medico li fece entrare e poi saltò giù dal veicolo.

— Voialtri, tutti e tre, appena arrivati spogliatevi e buttate nell'inceneritore ogni indumento che avete addosso — ordinò agli infermieri. — Anche le coperte, la barella e l'attrezzatura che è stata là dentro. Doccia di decontaminazione per tutti, ancora prima di dare un solo sguardo alla gamba rotta di quest'uomo. Gli ho iniettato un analgesico, ma anche se facesse poco effetto voi ignoratelo e finite di lavarlo. Anch'io verrò sotto la doccia, appena possibile. — Volse le spalle al veicolo e borbottò qualcosa fra sé, scuotendo la testa.


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