"La conoscenza, di per sé, è un intervento. La nostra presenza cambia il modo di vedere il mondo per i nativi. Secondo lei, non c’è modo di studiare queste persone senza provocare dei cambiamenti."

— Il Principio di Casualità di Heisenberg — dissi.

— Così mi dicono. Non sono un esperto di storia della scienza. E non credo che sia possibile applicare le leggi della fisica al comportamento degli individui. Questo somiglia al Socialismo Darwiniano. Una teoria stupida e pericolosa.

"Meiling sostiene che la politica del non intervento provoca una cosa sola. Rende difficile la vita agli operatori sul campo. Non possono scambiare informazioni con i nativi e non possono offrire aiuto. Semplice assistenza medica, per esempio."

— Io l’ho fatto — dissi. — Quando Nia è rimasta ferita.

— Lo so. Ma si trattava di una persona soltanto, e tu e Nia eravate da sole. Non è stato come se ti fossi proposta come dottore del villaggio. È questo che vuole Meiling. Ha una preparazione medica e ha lavorato in Tibet. Le abbiamo detto di no ed è ancora adirata.

Pensai a Meiling: esile e dai sentimenti profondi, una persona che faceva fatica a essere obiettiva. L’inazione non era cosa per lei. Non nutriva alcun interesse per le idee di Lao Zi o del Buddha. Veniva dalla seconda grande tradizione della Cina, quella di Mao Zi, di Men Zi e del Maestro Kong. La tradizione della responsabilità sociale.

— Lei ha un argomento valido — continuò Eddie. — Lo so che il non intervento rende più difficile ogni cosa. E forse è una farsa. Forse non c’è modo di evitare di cambiare questo pianeta. Ma la politica ci costringe a muoverci lentamente. Se l’abbandoniamo o incominciamo anche solo a modificarla, sarà solo una questione di tempo, e non molto, prima che il pianeta assomigli all’America del Diciannovesimo Secolo. I nativi saranno sommersi da esploratori, prospettori e missionari marxisti.

— Eddie, ti preoccupi anche più di me.

— Non ho intenzione di dire "aspettiamo e vediamo". Intendo fare tutto il possibile per assicurarmi che le mie previsioni non si avverino.

— Buonanotte, Eddie.

Meditai per un po’ di tempo, guardando il fuoco. Poi mi appisolai, seduta nella posizione del semiloto. Finalmente Derek mi scosse.

— È il tuo turno. Non ho visto nessuno.

Restai di guardia fino a metà della notte. Non accadde niente di particolare. Caddero meteore e un insetto notturno emerse dalle tenebre. Si librò al di sopra del fuoco su enormi ali pallide. Un istante dopo era sparito.

Svegliai Nia. Lei si alzò, lamentandosi sommessamente.

— Ho visto un insetto grande così. — Indicai un 40 centimetri di lunghezza con le mani. — È possibile?

Nia si accigliò. — È per questo che mi hai svegliata?

— No. È il tuo turno di fare la guardia. È possibile che l’insetto sia stato così grosso?

— Sì. — Nia si stiracchiò e sbadigliò. — Mettiti a dormire, Li-sa. Non mi va di parlare.

Ubbidii.

La mattina era radiosa. Sopra di noi e verso oriente il cielo era limpido. Verso occidente era pieno di nuvole. Erano una specie di cirri.

— Tempo nuovo — osservò Nia.

Sellammo gli animali e ci rimettemmo in marcia. Io cavalcai con l’oracolo.

Le nuvole si diffusero verso est, coprendo il cielo. Entro metà mattina il sole splendeva attraverso una bianca foschia. Derek continuava a voltarsi a guardare indietro. — Forse hanno deciso di lasciar perdere l’intera faccenda — disse alla fine, ma non parlava con molta convinzione.

A mezzogiorno arrivammo in una valle. Ci fermammo sulla costa scoscesa che la sovrastava. La costa era bassa, la valle poco profonda e non molto ampia. Al centro scorreva un fiume, lento e bruno, e lungo le rive cresceva l’erba enorme. Una nuova varietà. Le foglie erano di un inconfondibile azzurro. I pendii della valle erano ricoperti della solita vegetazione gialla. Qui e là scorsi macchie di rosso: una pianta che non riconoscevo.

La pista scendeva nella valle. La seguimmo lungo tutto il giallo declivio. Vidi degli animali: una mandria o un gregge di quadrupedi. Erano piccoli, alti non più di un metro, e timorosi. Non appena ci avvicinammo, fuggirono a grandi balzi come tante gazzelle. Erano bruni con strisce bianche lungo la schiena, e coperti di pelliccia.

— Che cosa sono? — domandò Derek.

— Schieneargentate — rispose Nia. — In inverno diventano completamente bianchi e la loro pelliccia è folta e calda. Alcune popolazioni li allevano. Il Popolo della Pelliccia e dello Stagno, per esempio. Ma noi, il Popolo del Ferro, pensiamo che causino più problemi di quanto valgano. Non mantengono le corna; ogni autunno cadono e ne crescono di nuove in primavera. E mentre spuntano le corna, gli animali sono irritabili e difficili da governare. Strofinano le corna contro tutto ciò che riescono a trovare: pali delle tende e ruote dei carri, e perfino i treppiedi che usiamo per appendervi i paioli per cucinare.

La pista correva sempre lungo il fiume. Bipedi dal lungo collo pascolavano con le foglie dell’erba enorme. Erano quasi dello stesso colore dell’erba e non era facile distinguerli all’ombra, fra le foglie azzurre. Spesso non riuscivo a vederne uno finché non si muoveva, sollevando il lungo braccio sottile per afferrare del cibo o torcendo il collo e drizzando la minuscola testa per osservarci. E non avevo idea di quanti ce ne fossero. Due? Tre? Una dozzina?

— Non dobbiamo preoccuparci degli assassini-delle-pianure — osservò Nia. — Ci sono troppi animali qui attorno. Non sono intelligenti, queste creature, ma non si fermerebbero se vedessero divorare uno della loro specie.

Proseguimmo lungo il fiume per tutto il pomeriggio. Gradualmente il fiume si allargava e l’acqua si faceva sempre meno profonda. C’erano banchi di sabbia e macchie di canne. La pista terminò e noi ci fermammo.

Nia osservò il fiume. — Questo è il guado. — Si riparò gli occhi con la mano. — C’è un uomo sull’altra riva, all’ombra. È fermo e ci sta osservando.

Derek si riparò gli occhi con la mano. — Hai ragione. Maledizione!

Alle nostre spalle risuonò una voce. — Quello è mio fratello Tzoon.

Mi guardai attorno. Un uomo era fermo a cinque metri da noi, presso un fusto di erba enorme. Inzara. Riconobbi la sua tunica.

— E quello è Ara. — Fece un cenno con la mano e un uomo comparve sulla pista dalla quale eravamo appena venuti. Era grande quanto Inzara. La sua tunica era azzurra e ricoperta di ricami. Indossava una cintura fatta di maglia di rame e un coltello in un fodero di cuoio azzuro. Anche gli stivali erano di cuoio azzurro. Attorno a un polso portava una dozzina circa di braccialetti di filo di rame. Mosse leggermente la mano, facendo un gesto al fratello. Sentii tintinnare i braccialetti.

— Che cosa volete? — domandò Derek.

— Avete ucciso Inahooli — disse Inzara. — L’abbiamo tirata fuori dalla fossa. C’era un ferita profonda nella sua schiena.

Derek non disse nulla.

Dopo un momento fu Nia a parlare. — Sì. L’abbiamo uccisa. E allora?

— Vogliamo una spiegazione.

Ara disse: — La cerimonia per onorare la Cordaia è rovinata. Noi siamo uomini. Non ci curiamo di queste cose quanto le donne. Ma non è una bella cosa vedere in difficoltà il clan di nostra madre.

— Inahooli sarà ricordata come la guardiana che ha fallito — aggiunse Inzara. — Il suo fantasma sarà furioso. Non è mai stato facile andare d’accordo con lei. Ora, chissà che cosa farà? Si dovranno tenere cerimonie di prevenzione e cerimonie di purificazione. — Inzara s’interruppe.

Fu Ara a continuare. — E cerimonie per allontanare la collera di Inahooli e della nostra antenata, la Cordaia. È una brutta situazione. Vogliamo sapere come è successo.

— D’accordo — disse Nia. — Ve lo racconteremo. Quell’altro, quello sull’altra riva del fiume, vuole ascoltare?

— Sì. — Inzara agitò la mano e gridò.

Il terzo fratello arrivò qualche minuto dopo, emergendo dal boschetto in piena luce del sole. Conduceva due cornacurve con le selle vuote. Guadarono il fiume, schizzando acqua fra le secche. Quando raggiunsero la nostra sponda, l’uomo tirò le redini del proprio animale. — Ebbene? — La sua voce era profonda come quella di Inzara, ma molto più aspra.


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