«Il demone non può sconfiggerle tutt’e tre» dice il cardinale Mustafa. Pronuncia la parola "demone" proprio mentre io la penso. Capisco che parla dello Shrike.

Aenea non bada a quel commento. «Per prima cosa mieterà il crucimorfo» dice piano. «Non posso impedirglielo.»

Il cardinale muove di scatto la testa, come schiaffeggiato. Da pallido diventa cereo. Raccogliendo l’imbeccata da Nemes, le due copie si raggomitolano più strettamente, come se raccogliessero energia in vista di chissà quale terribile trasformazione. Nemes ha riportato lo sguardo su Aenea e ora ha un sorriso così largo da mostrare anche i molari.

«Fermi!» grida il cardinale Mustafa. La sua voce echeggia dal lucernario al pavimento. I grandi corni smettono di rombare. I presenti si stringono l’uno all’altro in un fruscio di unghie su seta. Nemes scocca al cardinale un’occhiata di odio e di malevolenza, quasi di sfida.

«Fermi!» grida di nuovo il sant’uomo della Pax. Mi rendo conto che parla anzitutto e soprattutto alle sue stesse creature. «In nome di Albedo e del Nucleo, per l’autorità dei Tre Elementi, ve lo ordino!»

Quest’ultimo grido disperato ha la cadenza di un esorcismo, di un profondo rituale, ma perfino io capisco che non è né cattolico né cristiano. Qui non è lo Shrike a essere invocato sotto la ferrea stretta di un controllo talismanico; sono gli stessi demoni del cardinale.

Nemes e le sue copie arretrano sul parquet come tirate da fili invisibili. Il clone maschio e il clone femmina si spostano fino a mettersi ai fianchi di Nemes, davanti a Mustafa.

Il cardinale sorride, ma con un sorriso tremante. «I miei cuccioli non saranno sguinzagliati, finché non avremo discusso di nuovo» dice. «Sacrilega bambina, hai la mia parola di principe della Chiesa. Ho la tua parola che quel…» indica lo Shrike dalle lame ricoperte di brandelli di velluti «quel mostro non mi darà la caccia fino a quel momento?»

Aenea pare calma come è stata durante tutto l’incidente. «Io non lo controllo» risponde. «La sua sola via di scampo è lasciare pacificamente questo pianeta.»

Il cardinale guarda lo Shrike. Pare pronto a balzare via, se la creatura dovesse solo flettere la lama del mignolo. Nemes e i cloni continuano a mantenersi fra il cardinale e lo Shrike.

«Quale garanzia ho» dice il cardinale Mustafa «che quel demone non mi segua nello spazio o su Pacem?»

«Nessuna» risponde Aenea.

Il Grande Inquisitore punta il dito contro la mia amica. «Qui abbiamo affari che non hanno niente a che vedere con te» dichiara, brusco. «Ma tu non lascerai mai questo pianeta. Te lo giuro sulla pietà di Cristo.»

Aenea ricambia il suo sguardo e rimane in silenzio.

Il cardinale si gira e si allontana, con uno svolazzo di tonaca e un fruscio di pantofole sul lucido pavimento. Le tre creature Nemes arretrano per tutta la sala, seguendolo: i due cloni tengono gli occhi puntati sullo Shrike, Nemes trafigge con lo sguardo Aenea. Varcano i tendaggi del portale privato del Dalai Lama e spariscono.

Lo Shrike resta dove si trova, inanimato, le quattro braccia immobili davanti a sé; le lame delle dita raccolgono le ultime gocce della luce dell’Oracolo, poi la luna si muove dietro la montagna e scompare.

Gli ospiti della festa cominciano a muoversi verso le uscite, in un’onda di bisbigli e di esclamazioni. Dall’orchestra provengono tonfi, clangori, fischi: gli strumenti vengono riposti in fretta nelle custodie e trascinati o portati via. Aenea continua a tenermi la mano, mentre una piccola cerchia di persone rimane intorno a noi.

«Chiappe di Buddha!» sbotta Lhomo Dondrub. Si avvicina allo Shrike, tasta col dito la spina metallica che spunta dal torace della creatura. Nella luce sempre più fioca riesco a vedere la goccia di sangue sul suo dito. «Fantastico!» grida Lhomo e beve un sorso da un boccale di birra di riso.

La Dorje Phamo viene al fianco di Aenea. Le prende la sinistra, piega il ginocchio, si pone sulla fronte rugosa la mano aperta di Aenea.

Aenea mi lascia la mano, prende con gentilezza per il braccio la Scrofa Folgore, l’aiuta a rialzarsi. «No, no» mormora.

«La Benedetta» mormora la Dorje Phamo. «Amata, l’Immortale; Arhat, la Perfetta; Sammasambuddha, la Pienamente Risvegliata; comandaci e insegnaci il dhamma.»

«No» dice Aenea con vigore. Sempre gentile con l’anziana donna, la tira in piedi, ma non addolcisce l’espressione severa. «Vi insegnerò ciò che conosco e dividerò con voi ciò che possiedo, quando giungerà il tempo. Non posso fare altro. L’ora del mito è passata.»

Si gira, mi prende per mano e ci guida fuori della sala, passando davanti all’immobile Shrike, diretta ai tendaggi a brandelli e alla scala mobile ferma. Gli ospiti della festa si aprono al nostro passaggio, in fretta, come poco prima davanti allo Shrike.

Ci fermiamo sulla piattaforma della scala d’acciaio. Lanterne risplendono nel corridoio delle nostre camere da letto, molto più in basso.

«Grazie» mi dice Aenea, guardandomi con occhi umidi.

«Eh?» dico come uno stupido. «Di cosa… perché… non capisco.»

«Grazie del ballo» dice lei. Si alza sulla punta dei piedi e mi bacia morbidamente sulla bocca.

L’elettricità del suo tocco mi fa battere le palpebre. Indico la folla alle nostre spalle, la pista da ballo dove ora non c’è più lo Shrike, le guardie del Potala che si precipitano nella sala echeggiante, l’alcova chiusa da tendaggi dove sono spariti Mustafa e le sue creature. «Non possiamo dormire qui stanotte, ragazzina. Nemes e gli altri due…»

«No, no, non faranno niente» dice Aenea. «Abbi fiducia in me, su questo. Stanotte non verranno strisciando lungo la parete esterna e sul soffitto. Anzi, lasceranno tutti il loro gompa e torneranno alla nave in orbita. Verranno di nuovo, ma non stanotte.»

Mi lascio sfuggire un sospiro.

Aenea mi prende la mano. «Hai sonno?» domanda piano.

Certo che ho sonno. Non esistono parole per dire quanto sono esausto. La notte scorsa pare lontana giorni, settimane, e anche allora ho avuto solo due o tre ore di sonno leggero perché… perché abbiamo… perché…

«Nemmeno un briciolo» rispondo.

Aenea sorride e mi fa strada verso la nostra camera da letto.

20

Papa Urbano XVI: Soffia il tuo Spirito e loro saranno creati.

Tutti: Tu rinnoverai il ricordo della Terra e il volto di tutti i mondi nel Dominio di Dio.

Papa Urbano XVI: Preghiamo.

O Dio, tu hai istruito il cuore dei fedeli mediante la luce dello Spirito Santo. Concedi che per mezzo dello stesso Spirito Santo noi possiamo sempre essere veramente saggi e gioire nella sua consolazione. Per Cristo Nostro Signore.

Tutti: Amen.

Papa Urbano XVI benedice le insegne dei cavalieri dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Papa Urbano XVI: Il nostro rimedio è nel nome del Signore.

Tutti: Che creò il cielo e la terra e tutti i mondi.

Papa Urbano XVI: Il Signore sia con voi.

Tutti: E con il tuo spirito.

Papa Urbano XVI: Preghiamo.

Ascolta, ti preghiamo, o Signore. Degnati per il potere della tua maestà di benedire le insegne della funzione. Proteggi i tuoi servi che desiderano portarle, affinché siano forti nel salvaguardare i diritti della Chiesa e rapidi nel difendere e diffondere la fede cristiana. Per Cristo Nostro Signore.

Tutti: Amen.

Papa Urbano XVI asperge di acqua benedetta gli emblemi.

Il maestro di cerimonie, cardinale Lourdusamy, prepara il decreto per i cavalieri appena nominati e per quelli promossi di grado. Ciascuno di loro, quando viene chiamato per nome, si alza e rimane in piedi. Nella basilica ci sono milleduecentootto cavalieri. Il cardinale Lourdusamy elenca per grado, dal basso in alto, tutti gli insigniti d’onorificenza, prima i cavalieri, poi i preti cavalieri.


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