Cordelia alzò le sopracciglia. — Sì…?

— Non ha ancora ritirato questo ordine.

— Sergente — disse lei, stupita, — non avrei mai creduto che tu fossi un avvocato da caserma.

Il millimetrico sorriso di Bothari s’indurì. — La sua voce, milady, è legalmente la voce dell’Imperatore.

— Sì, è così — sussurrò lei, con un lampo negli occhi.

Bothari si piegò in avanti. Le sue mani, sui ginocchi, erano adesso ferme come blocchi di roccia. — Allora, milady, cosa mi stava dicendo?

Nella vasta rimessa sotterranea del Reparto Veicoli i rumori echeggiavano come in una caverna. Le ombre, fra i pilastri che sorreggevano il soffitto, erano tagliate solo dai riflessi delle luci bianche accese oltre le pareti di vetro dell’ufficio. Ferma nella penombra accanto al portello del pozzo antigravità, con Drou alle spalle, Cordelia guardava Bothari che parlava con l’ufficiale addetto ai trasporti. Un Armiere del Generale Conte Piotr Vorkosigan si stava facendo assegnare un veicolo per il suo Lord. I documenti e i codici d’accesso di cui Bothari era fornito stavano apparentemente funzionando bene. L’addetto ai trasporti infilò la tessera di Bothari nel suo computer, gli chiese di firmare con l’impronta del palmo sulla piastra di un sensore, e poi si volse a dar ordini a un sottufficiale.

Cordelia si chiese ansiosamente se un piano così semplice sarebbe andato liscio. E in caso contrario, che alternative avevano? Nella sua mente tornò l’immagine del percorso che avevano stabilito, linee rosse tracciate su una carta geografica. Non a nord verso il loro obiettivo, ma prima a sud, per via di terra, attraverso il più vicino distretto leale all’Imperatore. Abbandonare la troppo riconoscibile vettura governativa, prendere la monorotaia verso ovest fino in un altro distretto, quindi a nord-ovest per un altro ancora. Poi a est nel Distretto Vorinnis, un territorio neutrale su cui si puntavano le attenzioni diplomatiche di entrambe le parti avverse. Cordelia ripensò a un commento del Conte Piotr: «Stanne certo, Aral. Se Vorinnis non la smette di tenere i piedi in due staffe, e di fare un gioco sporco ai danni di tutte e due, dovremo impiccarlo più in alto di Vordarian quando tutto questo sarà finito.» Dalla città capoluogo di quel distretto avrebbero dovuto raggiungere infine, in qualche modo, la capitale. Un numero di chilometri scoraggiante da percorrere. Tre volte superiore alla distanza in linea d’aria. E tutto il tempo che avrebbe richiesto. Il suo cuore puntava a nord come l’ago di una bussola.

Il primo e l’ultimo distretto sarebbero stati i più difficili. Le truppe di Aral potevano essere ostili a quell’escursione quanto quelle di Vordarian. La sua testa era così piena di probabilità sfavorevoli che l’insieme le appariva impossibile.

Un passo alla volta, si disse con fermezza. Un passo alla volta. Intanto dovevano uscire dalla Base Tanery; questo era già fatto a metà. Dividere il futuro in paragrafi di cinque minuti, in capitoli di un’ora, e prenderli uno alla volta.

Ecco, pensò: i primi cinque minuti erano già trascorsi, e una vettura lucida e veloce stava uscendo dalle rimesse sotterranee. Una piccola vittoria, che premiava la loro piccola prima mossa e il vago pericolo di quell’attesa. Quale premio avrebbero meritato mosse più ardite e pericoli più grandi?

Bothari esaminò il veicolo con sospettosa meticolosità, come se a prima vista non gli sembrasse troppo adeguato a ospitare il suo Lord. L’ufficiale addetto ai trasporti aspettava ansiosamente, e parve sollevato quando l’Armiere del generale, dopo aver passato una mano sulla capote accigliandosi per la presenza di qualche granello di polvere, diede la sua approvazione con un grugnito. Bothari portò la vettura all’imbocco del pozzo antigravità e la parcheggiò lì, in modo che dall’ufficio non si vedesse bene quali passeggeri uscivano per salire a bordo.

Drou si chinò a raccogliere le loro borse da viaggio, dove oltre agli indumenti personali c’era una quantità di altri oggetti, fra cui le armi ed i souvenir del viaggio in montagna di Cordelia e di Bothari. Bothari restrinse i finestrini dell’abitacolo posteriore e scurì di qualche grado i vetri polarizzati.

— Milady! — esclamò la voce di Koudelka dall’ingresso del pozzo antigravità dietro di loro. — Cosa state facendo?

I denti di Cordelia azzannarono la parolaccia che le stava uscendo di bocca. Costrinse le sue labbra a piegarsi in un melenso sorriso di sorpresa e quando fu certa che l’espressione avrebbe resistito si voltò. — Ehilà, Kou. Che fai di bello da queste parti?

Lui guardò Droushnakovi, guardò Bothari, guardò le borse e corrugò le sopracciglia. — L’ho chiesto prima io — disse. Stava ansimando. Doveva aver corso alla sua ricerca per qualche minuto, dopo non averla trovata nell’appartamento degli alloggi ufficiali. Una coincidenza che non ci voleva.

Cordelia continuò a sorridere imperterrita, mentre in lei balenava l’immagine di una squadra della Sicurezza che piombava fuori dal pozzo per arrestare tutti loro, o almeno i loro piani. — Stiamo andando in città… a far compere.

Lui ebbe una smorfia scettica. — Sì? E l’ammiraglio lo sa? E allora dov’è la scorta di Illyan per gli spostamenti fuori dalla Base?

— Ci aspetta più avanti — lo informò Cordelia.

La possibilità che fosse vero gli fece apparire un’ombra di dubbio nello sguardo. Ma ahimè, l’ombra fu effimera. — Senta, milady, aspetti un minuto…

— Tenente — lo interruppe Bothari. — Dia un’occhiata lì, per favore. — E gli indicò il compartimento posteriore della vettura.

Koudelka si piegò per guardare nell’interno. — Cosa c’è? — chiese, con impazienza.

Cordelia ebbe un fremito quando la mano di Bothari si abbatté di taglio sotto la nuca di Koudelka, e fremette ancora nel sentire il thud con cui la sua testa urtò nello sportello opposto allorché Bothari lo fece volare avanti con una spinta. Il bastone-spada rotolò sul tappetino.

— Dentro — grugnì il sergente, controllando con una rapida occhiata la situazione nell’ufficio.

Droushnakovi gettò le borse nel compartimento e si affrettò a entrare, togliendo di mezzo le gambe inerti di Koudelka. Cordelia raccolse il bastone e s’infilò dietro di lei. Bothari fece un passo indietro, salutò rispettosamente, abbassò la portiera e salì al posto di guida.

Partirono con calma e senza scosse. Cordelia dovette reprimere un momento di panico quando dovettero fermarsi al primo posto di controllo. Poteva vedere e sentire nitidamente le guardie che s’erano accostate alla vettura. Era difficile ricordare che da fuori vedevano soltanto le loro facce riflesse nei cristalli. Ma il generale Piotr, evidentemente, era uno di quei potenti a cui nessuno amava far perdere un istante di troppo. Che soddisfazione essere il generale Piotr. Anche se in quel periodo neppure Piotr avrebbe potuto entrare nella Base Tanery senza aprire tutti gli sportelli e magari anche il portabagagli. Al cancello esterno il servizio di guardia era impegnato nel controllo di un convoglio di camion in arrivo. Quella coincidenza favorevole parve a Cordelia uno stupido spreco; l’elenco di colpi di fortuna con cui il Fato li lasciava partire era sicuramente breve: perché usarne subito uno quando non era poi così drammaticamente necessario?

Fra lei e Droushnakovi riuscirono infine a raddrizzare Koudelka in mezzo a loro. Grazie al cielo il suo corpo non era più flaccido in modo tanto allarmante. Stava mugolando e scuoteva la testa, senza ancora aprire gli occhi. La testa, il collo e la colonna vertebrale erano fra le zone del suo corpo prive di nervi artificiali; Cordelia si augurò che niente di inorganico si fosse rotto.

Droushnakovi sbuffò, preoccupata. — Cosa dobbiamo fare con lui?

— Non possiamo scaricarlo sul marciapiede. Tornerebbe subito indietro a dare l’allarme — disse Cordelia. — Se lo impastoiassimo a un albero, fuori strada, forse non lo troverebbero tanto presto… si sta riavendo. Credo che sia prudente legarlo.


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